Non ripetibili le spese legali per la correzione di una sentenza
di Franco Ballati
La sentenza del G.I. Dott. Grauso del Tribunale di Pistoia - S.D. di Pescia, trae origine da una opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. proposta dai componenti di una associazione professionale fra avvocati, a seguito della avvenuta notifica di un atto di precetto per il pagamento della somma di Lit. 23.936.450, in quanto tale precetto avrebbe contenuto voci di tariffa non dovute e, dunque, non ripetibili dall’esecutato.
L’associazione professionale aveva richiesto - ed ottenuto - dal Giudice di Pace di Pescia, la condanna di una società al pagamento, in proprio favore, dell’importo di una notula professionale relativa ad attività professionali espletate a favore di quest’ultima alcuni anni prima.
Nel giudizio di appello proposto dalla società (debitrice) il Tribunale di Pistoia aveva totalmente riformato la sentenza di primo grado, condannando l’appellata associazione professionale non solo al rimborso delle somme percepite in forza di tale sentenza, ma anche al pagamento delle spese legali di entrambi i gradi del giudizio.
Essendo il Tribunale di Pistoia incorso in un errore materiale, la società appellante aveva poi proposto ricorso per correzione di sentenza (ex art. 287 c.p.c.) ed aveva poi inserito le spese legali sostenute per tale procedura nell’atto di precetto notificato alla associazione professionale.
Con la propria opposizione, tale associazione offriva in pagamento il minor importo ritenuto dovuto, chiedendo altresì che il Tribunale adito dichiarasse la nullità ed inefficacia dell’atto di precetto notificato.
La società opposta, nel costituirsi in giudizio, deduceva di aver già notificato alla opponente atto di rinuncia all’atto di precetto opposto e concludeva per la declaratoria di cessazione della materia del contendere, chiedendo anche che venisse dichiarata la compensazione delle spese di giudizio, sulla base del principio della soccombenza virtuale.
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Diverse sono le questioni di natura giuridica poste alla attenzione del Giudice e da questi risolte - a ns. giudizio - in modo del tutto conforme al diritto nella sentenza che si commenta.
Appare pacifico, per costante giurisprudenza sia di merito che di legittimità che:
“La circostanza che la parte istante indichi nel precetto una somma superiore a quella dovuta dal debitore non da luogo ad irregolarità dell’atto, ma ad un eccesso nell’esercizio del diritto a procedere ad esecuzione forzata. Il debitore per far valere tale eccesso dispone dell’opposizione all’esecuzione. Con questo si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata anche quando, invece di negare che essa abbia un titolo esecutivo o sia titolare di un credito certo, liquido ed esigibile risultante da tale titolo, ci si limiti a sostenere che il credito per cui è stata minacciata l’espropriazione forzata è di ammontare inferiore a quello indicato nell’atto di precetto.” (Cass. Civ., Sez. III, n. 2123 del 26.2.1998 - Pres. Longo - Rel. Finocchiaro).
In merito, si è riconosciuto che: “anche la contestazione delle sole spese vive portate dal precetto si riconduce alla negazione del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata” (Cass. Civ., 84/5489 - Buoncristiani in Giust. Civ. 1989, I, 1925).
V’è da aggiungere che, come in maniera corretta rileva il G.I. nella sua sentenza: “l’intimazione del precetto per somma superiore a quella dovuta non produce la nullità del precetto, ma dà luogo soltanto alla riduzione della somma domandata nei limiti di quella dovuta.”.
Sul punto, la citata sentenza 2123 del 26.2.98 della S.C.C. era stata chiarissima, anche nel determinare e specificare le caratteristiche e differenze fra le due opposizioni previste dal nostro Codice di Procedura Civile (all’esecuzione, ex art. 615 c.p.c.; ed agli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c.).
Ovvero: “le due opposizioni, diverse nei presupposti, mettono capo a decisioni di diverso contenuto ed effetti.
L’opposizione all’esecuzione tende a far accertare che, per la ragione dedotta, il creditore non ha diritto di chiedere anche la parte di somma in contestazione. L’accoglimento di tale opposizione produce il formarsi di un giudicato sul punto che la somma in contestazione non è dovuta, ma ciò non incide sulla idoneità del concreto precetto con cui è stata domandata a fungere, sia pure per il minore ammontare, come presupposto dell’espropriazione ancora da iniziare o tuttora da iniziare.
L’opposizione agli atti esecutivi tende (invece) a far accertare che il concreto atto di precetto è nullo: l’accoglimento dà luogo ad una pronuncia di annullamento del precetto … (anche se) ciò non esclude che sulla base del medesimo titolo il precetto sia rinnovato.”.
Altrettanto condivisibile appare la riaffermazione del principio - di gran lunga prevalente in giurisprudenza - in base a cui: “nell’esecuzione per espropriazione forzata il precetto possa contenere l’autoliquidazione delle spese vive nonché dei diritti ed onorari relativi al medesimo (così Cass. 26.10.1984, n. 5489), sul presupposto della stretta connessione funzionale fra precetto e titolo esecutivo.”.
Infatti, con sentenza a Sezioni Unite, n. 1471 del 24.2.1996 - Pres. Sgroi - rel. Varrone, la Cassazione Civile, componendo un contrasto sorto fra varie Sezioni, aveva definitivamente statuito, sia pure relativamente ad una fattispecie diversa da quella oggi in esame (art. 611 c.p.c.) che: “per una corretta interpretazione del problema occorre prendere le mosse da alcuni punti fermi fissati in questa materia dalla Corte.
Il primo attiene alla natura del precetto, quale presupposto od atto preliminare dell’esecuzione, e non, quindi, atto iniziale della stessa, che invece si instaura solo con il pignoramento (art. 491 c.p.c.), ovvero nell’esecuzione per consegna o rilascio, con l’accesso in loco dell’Ufficiale Giudiziario. E’ stato anche affermato che con il precetto possa essere intimato anche il pagamento delle spese relative al precetto stesso (Cass., 26.10.1984, n. 5489) e, segnatamente, che il creditore, il quale intimi il precetto per il pagamento di un cambiale e delle spese di precetto, non può rifiutare il pagamento della sola somma portata dal titolo (escluse le spese di precetto), fermo restando il diritto di procedere all’esecuzione per queste ultime (Cass., 6.6.1998, n. 1997).
Questa pronuncia è particolarmente significativa in quanto introduce la replica alla facile obiezione che, nel caso delle spese di precetto autoliquidate dallo stesso creditore istante, mancherebbe un titolo giudiziale per procedere all’esecuzione.
Infatti, essendo il precetto la mera intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo (art. 480 c.p.c.), va considerata in stretta connessione funzionale con quest’ultimo, di tal che le spese del precetto assumono portata accessoria rispetto all’obbligazione recata nel titolo.”.
Con la conclusione, applicabile anche al caso in esame, che: “conformemente ad una prassi pacifica, anche nella procedura esecutiva per consegna o rilascio è consentito al creditore di intimare, con il precetto, il pagamento delle spese ad esso inerenti, senza preventiva liquidazione giudiziale.”.
Ovviamente, fermo restando il diritto del debitore di proporre opposizione all’esecuzione limitatamente a tale obbligazione, accessoria rispetto a quella portata dal titolo esecutivo (vedi Cass., 27.6.1975, n. 2536).
Altrettanto da condividere gli altri due principi enunciati dal Giudice, relativamente alle spese sostenute dall’intimante - e da questi richieste in atto di precetto - per il procedimento di correzione della sentenza, previsto dall’art. 287 c.p.c.:
a) sia perché la procedura di correzione costituisce una fase a sé stante, “priva di collegamento necessario con quella esecutiva”, per cui le spese sostenute dal ricorrente per tale procedimento non possono essere affatto assimilate alle spese sostenute dal creditore procedente per l’esecuzione stessa;
b) sia perché tale procedimento di correzione “ha carattere sostanzialmente amministrativo … e non realizza una volontà giurisdizionale autonoma ed autonomamente impugnabile”, per cui “la pronunzia sulle spese integra una statuizione accessoria che riguarda i soggetti titolari di un rapporto processuale nato con la proposizione di una domanda giudiziale, mentre la natura non giurisdizionale del procedimento di correzione impedisce di identificare, ai fini dell’onere delle spese, parti vittoriose e parti soccombenti …”. Con ciò uniformandosi al principio enunciato dalla S.C.C. con la sentenza n. 9636 del 2.10.1997, emessa in un procedimento di volontaria giurisdizione, in una fattispecie prevista dall’art. 2409 c.c., conforme a precedenti decisioni in merito (Cass. n. 498 del 23.1.1996 e n. 7424 del 16.12.1983).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PISTOIA
SEZIONE DISTACCATA DI PESCIA
in persona del dott. Pierpaolo Grauso in funzione di giudice unico ha pronunciato la seguente
attrice opponente
convenuta opposta
Conclusioni: all’udienza del 9 febbraio 2001, i procuratori delle parti precisavano le conclusioni come da verbale.
Tanto premesso, l’esponente offriva in pagamento l’importo di lire 20.551.097, ritenuto corretto, e proponeva opposizione all’atto di precetto notificato nei suoi confronti, chiedendo dichiararsene la nullità ed inefficacia.
Alla prima udienza, si costituiva in giudizio la società opposta, preliminarmente deducendo di aver spontaneamente provveduto - il 5 giugno 2000, e pur nell’ignoranza dell’opposizione notificata presso la Cancelleria - a notificare alla controparte atto di rinuncia al precetto impugnato, con conseguente cessazione della materia del contendere.
Nel merito, la Royal Palace contestava comunque la fondatezza dell’opposizione, e concludeva affinché - in applicazione del principio della soccombenza virtuale - il giudice dichiarasse compensate le spese del procedimento.
All’udienza del 9 febbraio 2001, il procuratore dell’opponente precisava le conclusioni riportandosi ai propri atti, e chiedeva inoltre dichiararsi l’avvenuta estinzione dell’obbligazione di cui al precetto opposto, avendo la Royal Palace accettato l’offerta banco iudicis effettuate dall’attrice; quindi la causa, istruita mediante la sola produzione di documenti, veniva trattenuta in decisione, con assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Secondo il ripetuto e condivisibile insegnamento della giurisprudenza di legittimità, costituisce opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. la contestazione dell'ammontare della somma indicata nel precetto, in quanto con essa si investe il diritto del creditore istante di procedere alla esecuzione per l'importo contestato della somma pretesa; per altro verso, l'intimazione di precetto per somma superiore a quella dovuta non produce la nullità del precetto, ma dà luogo soltanto alla riduzione della somma domandata nei limiti di quella dovuta (cfr. da ultimo Cass. 26 febbraio 1998, n. 2123).
Dal canto suo, la intervenuta rinunzia al precetto da parte della società creditrice determina senz’altro la cessazione della materia del contendere, posto che ad essa consegue la definitiva perdita di efficacia dell’atto e l’esaurimento di ogni ragione di contesa fra le parti, in relazione al vizio denunciato dall’opponente.
Non vi è invece luogo a provvedere sulla domanda di accertamento dell’avvenuta estinzione del rapporto obbligatorio inter partes, tardivamente ed inammissibilmente proposta dall’opponente solo in sede di precisazione delle conclusioni (a prescindere dalla questione dell’ammissibilità di una simile domanda di mero accertamento).
Quanto al merito dell’opposizione, il cui esame è necessario ai fini del regolamento delle spese giudiziali, si rileva in primo luogo come, in giurisprudenza e in dottrina, sia sostanzialmente pacifica l’affermazione che, nell’esecuzione per espropriazione forzata, il precetto possa contenere l’”autoliquidazione” delle spese vive nonché dei diritti ed onorari relativi al medesimo (così Cass. 26 ottobre 1984, n. 5489), sul presupposto della stretta connessione funzionale tra precetto e titolo esecutivo, di modo che le spese dell’intimazione assumono portata accessoria rispetto all'obbligazione portata dal titolo.
Sul piano positivo, tale conclusione si giustifica con il richiamo agli artt. 95 c.p.c., che fa riferimento alle “spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione”, e 510 c.p.c., secondo cui in sede di distribuzione della somma ricavata si deve attribuire al creditore “quanto gli spetta per capitale, interessi e spese”.
Ne consegue, atteso che l’opponente non contesta in questa sede l’entità degli onorari richiesti dalla creditrice per la redazione del precetto, ma la legittimità in sé della richiesta, la infondatezza del profilo di doglianza esaminato.
Con riguardo all’inserimento nell’atto di precetto delle varie voci di spesa relative al procedimento instaurato dalla Royal Palace per ottenere la correzione dell’errore materiale della sentenza di appello emessa dal tribunale di Pistoia, e costituente il titolo posto in esecuzione, si osserva, da un lato, che il provvedimento che chiude il procedimento disciplinato dagli artt. 287 e segg. c.p.c. ha carattere sostanzialmente amministrativo e, rimanendo nell'ambito della forza dispositiva della sentenza a cui si riferisce, non realizza una volontà giurisdizionale autonoma ed autonomamente impugnabile; dall’altro, che la pronunzia sulle spese integra una statuizione accessoria che riguarda i soggetti titolari di un rapporto processuale nato con la proposizione di una domanda giudiziale, mentre la natura non giurisdizionale del procedimento di correzione impedisce di identificare, ai fini dell'onere delle spese, parti vittoriose e parti soccombenti, trattandosi di qualità che presuppongono la definizione di un conflitto in sede contenziosa, e quindi preclude il riferimento alle disposizioni degli artt. 91 e segg. c.p.c., comportando che le spese medesime rimangano a carico del soggetto interessato, il quale le abbia anticipate assumendo l'iniziativa del procedimento stesso (cfr., per analoga affermazione in materia di procedimento di giurisdizione volontaria, 2 ottobre 1997, n. 9636).
Inoltre, le spese relative al procedimento di correzione non possono essere in alcun modo assimilate alle spese sostenute dal creditore procedente per l’esecuzione, dalle quali differiscono ontologicamente, la correzione dell’errore costituendo fase a sé stante, priva di collegamento necessario con quella esecutiva.
Non giustificandosi pertanto il loro inserimento nel precetto, limitatamente a tale aspetto l’opposizione deve considerarsi fondata.
La reciproca soccombenza (virtuale), in una con la oggettiva controvertibilità della questione relativa alle spese del procedimento di correzione dell’errore materiale, giustifica la integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.
a) dichiara cessata la materia del contendere;
b) dichiara inammissibile la domanda di accertamento proposta dall’opponente;
c) dichiara integralmente compensate le spese del giudizio.
Così deciso in Pescia, il 10.08.2001
dott. Pierpaolo Grauso