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Giurisprudenza commentata

Annullabilità della delibera condominiale per mancata indicazione, nell’avviso di convocazione, della data dell’assemblea

(Tribunale di Messina, II sez. Civ., 20 dicembre 2002)

[Giudice Monocatico, Dott. Emilio Iannello]

 di Franco Ballati

La mancata indicazione nell’avviso di convocazione di assemblea di condominio della data della stessa, comporta non la nullità, ma l’annullabilità relativa della delibera condominiale, che può essere fatta valere solo dal condomino che non ha concorso alla sua formazione entro il termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 comma 3 c.c. È valida l’impugnazione delle deliberazioni annullabili dell’assemblea condominiale proposta con ricorso anziché con citazione, siccome prescritto dall’art. 1137 c.c.. In tal caso, non essendo direttamente applicabili le norme di cui agli artt. 163 e 163-bis c.p.c., l’inosservanza del termine minimo a comparire di sessanta giorni tra la data di notifica del ricorso medesimo e l’udienza fissata dal giudice non comporta la nullità dell’atto, ove comunque risulti concesso un termine congruo.

 

Dispone l’art. 66 disp. att. cod. civ. (R.D. 30.3.1942, n. 318), all’ultimo comma, che: “l’avviso di convocazione (dell’assemblea) deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza.
Dispone, poi, l’art. 1137 c.c.:
“Le deliberazioni prese dall’assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini.
Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente può fare ricorso all’autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende l’esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità stessa.
Il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti”.
Nella fattispecie oggetto della sentenza del Tribunale di Messina che si commenta, tre condomini avevano proposto ricorso al tribunale chiedendo che venisse dichiarata la radicale nullità delle deliberazioni adottate dall’assemblea del condominio per “mancanza di idonea preventiva convocazione dell’assemblea e, comunque, …” la loro illegittimità “perché relative a innovazioni comportanti spese eccessivamente gravose”.
L’avviso di convocazione dell’assemblea indicava, per seconda convocazione, una data diversa da quella in cui poi l’assemblea dei condomini era stata effettivamente tenuta e cioè la stessa di quella indicata per la prima convocazione.
Presupposto indispensabile per la valida costituzione dell’assemblea del condominio è l’invio dell’avviso di convocazione a tutti i condomini almeno 5 gg. prima della data fissata per la riunione (in prima o seconda convocazione), con l’indicazione esatta del luogo e dell’ora.
La mancanza di tale adempimento è stata oggetto di due diversi orientamenti giurisprudenziali e dottrinali.
Si è infatti statuito (fra le numerose pronunce): “La mancata comunicazione anche ad uno solo dei condomini dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale comporta la nullità radicale e non l’annullabilità della deliberazione. L’onere di provare che tutti i condomini sono stati tempestivamente avvisati incombe sul condominio convenuto con l’azione di nullità.” (Cass. civ., sez. II, 12.06.1997, n. 5267 - Pres. Favara F. - Rel. Cristarella Orestano F. in Gius, 1997,18, 2172; vedi anche: Cass, civ., 12.2.1993, n. 1780 in Giust. civ., 1993, I, 1835; Cass. 16.4.1973 n. 1079, in Foro it., 1973, I, 3082; Cass. civ. sez. II, 27.6.1992, n. 8074).
“La mancata comunicazione, anche ad uno solo dei condomini, dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale, in quanto vizio del procedimento collegiale, comporta non la nullità ma la semplice annullabilità della delibera che, se non viene impugnata nel termine di trenta giorni (dalla comunicazione per i condomini assenti o dalla approvazione per quelli dissenzienti), è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio.” (Cass. civ., sez. II, 05.01.2000, n. 31 - Pres. Volpe V. - Rel. Corona R. in Corriere giurid., 2000, 616; cfr. anche Cass. civ. 5.2.2000, n. 1292, in Gius, 2000, 9, 986).
Sul punto sia la dottrina che la giurisprudenza hanno chiarito la differenza fra nullità ed annullabilità, superando la situazione di incertezza prolungatasi nel tempo in relazione alle deliberazioni dell’assemblea condominiale affetta da vizi, in analogia alla disciplina delle delibere societarie.
“Sono nulle se hanno un oggetto impossibile o illecito, ovvero che non rientra nella competenza dell’assemblea, ove incidono sui diritti individuabili inviolabili per legge.
Sono invece annullabili nei termini previsti dall’art. 1137 c.c. le altre delibere contrarie alla legge o al regolamento di condominio”, fra cui quelle “che non rispettano le norme che disciplinano il procedimento” (MAURIZIO DE TILLA, Dizionario del Condominio, 2002,237), “o prese in difformità rispetto agli argomenti posti all’ordine del giorno, o con la violazione delle disposizioni in tema di rappresentanza (es. art. 67 disp. att. cod. civ.)” (GINO TERZAGO, Il Condominio,1998, 318).
L’orientamento giurisprudenziale più recente “facendo chiarezza sulla distinzione tra deliberazioni assembleari condominiali nulle ed annullabili, … analogamente alle deliberazioni societarie” ha ritenuto sussistere, nella fattispecie, l’”annullabilità” delle delibere condominiali (vedi, Cass. civ., sez. II, 02.10.2000, n. 13013 - Pres. Corona R. - Rel. Cioffi C., in Diritto e Giustizia, 2000, fasc. 38, 78).
Chiarissima ed esauriente la motivazione della succitata sentenza della Cass. civ. n. 31/2000, che si riporta quasi integralmente: “Per la verità, talora la giurisprudenza afferma che la mancata comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale anche ad un solo dei condomini comporta la nullità radicale della delibera e non l’annullabilità (Cass., Sez. II, 12 giugno 1997, n. 5267; Cass., Sez. II, 12 febbraio 1993, n. 1780, Cass., Sez. II, 27 giugno 1992, n. 8074). A fondamento adduce essenzialmente la lettera dell’art. 1136 comma 6 cod. civ., secondo cui l’assemblea non può deliberare se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione: donde l’inferenza che, in difetto di comunicazione a tutti i condomini, viene a mancare lo stesso potere dell’assemblea.
Il dato, che induce a dubitare della validità della soluzione giurisprudenziale, è raffigurato dal combinato disposto degli artt. 1105 comma 3 e 1109 cod. civ.
In tema di comunione, l’art. 1105 comma 3 cod. civ. prevede che, per la validità delle deliberazioni, tutti i partecipanti devono essere stati preventivamente informati dell’oggetto della delibera. L’art. 1109 cod. civ. contempla, nel caso in cui non sia stata osservata la disposizione del terzo comma dell’art. 1105 cit. il potere di ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente di impugnare le deliberazioni nel termine di decadenza di trenta giorni. La statuizione del termine di decadenza esclude che, in tema di comunione, il difetto di informazione configuri una causa di nullità. Èragionevole dubitare che l’art. 1136 comma 6 cod. civ., in tema di condominio, disciplinando la stessa fattispecie e usandola stessa formula, alla mancata convocazione di un condomino abbia ricollegato conseguenze diverse e ben più gravi.
2.2. D’altra parte, l’orientamento riferito contrasta con i principi, che la stessa giurisprudenza pone a fondamento della distinzione tra la nullità e l’annullabilità delle delibere.
Sono nulle - afferma - le deliberazioni dell’assemblea dei condomini, che sono prive degli elementi essenziali, ovvero hanno un oggetto impossibile o illecito o esorbitante dalle attribuzioni dell’assemblea, in quanto provvedono su materie rispetto alle quali non è riconosciuto potere deliberativo all’organo collegiale, oppure riguardano innovazioni lesive dei diritti di ciascun condomino sulle cose o servizi comuni o su quelle di proprietà esclusiva. Sono soltanto annullabili, invece, le delibere affette da vizi formali, cioè prese in violazione di prescrizioni legali, convenzionali o regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea. Tra le altre pronunce: Cass., Sez. II, 21 febbraio 1995, n. 1890; Cass., Sez. II, 5 agosto 1988, n. 4851; Cass., Sez. II, 10 giugno 1981, n. 3775; Cass., Sez. II, 9 aprile 1980, n. 2288. Per i precedenti più remoti: Cass., Sez. II, 16 aprile 1973, n. 1079; Cass., Sez. II, 11 giugno 1968, n. 1853; Cass., Sez. II, 3 agosto 1966, n. 2155.
2.3. La distinzione riproduce, in linea di massima, l’orientamento della dottrina che, con riferimento al negozio ed alle delibere societarie, considera nullo l’atto quando è assente o è del tutto carente un elemento costitutivo, secondo la configurazione richiesta dalla legge; pertanto, a causa dell’assenza o della assoluta carenza di un elemento essenziale, l’atto si considera inidoneo a dar vita alla nuova situazione giuridica, che il diritto ricollega al tipo legale, in conformità con la funzione economico-sociale che è la sua caratteristica; per contro, ritiene annullabile l’atto in presenza di deficienze considerate meno gravi, secondo la valutazione degli interessi da tutelare fatta dalla legge. Annullabile, quindi, è l’atto in cui un elemento essenziale sia viziato: l’atto che, pur non mancando degli elementi essenziali del tipo e dando vita precaria alla nuova situazione giuridica che il diritto ricollega al tipo legale, può essere rimosso.
2.4. Allo stesso modo di quanto espressamente stabilito per le deliberazioni assembleari delle società di capitali dall’art. 2379 cod. civ., anche per le delibere dell’assemblea dei condomini devono ritenersi rigorosamente circoscritte le cause di nullità che non sono contemplate dall’art. 1137 comma 2 e 3 cod. civ. il quale, fissando un termine di decadenza per l’impugnazione, evidentemente disciplina le sole ipotesi di annullabilità. Per le delibere condominiali, valgono le medesime esigenze di certezza dei rapporti, in ragione delle quali la stabilità delle delibere societarie viene assicurata con la limitazione della nullità alle due sole ipotesi della impossibilità e della illiceità dell’oggetto (art. 2379 cod. civ.). In considerazione della stessa ratio, anche in materia di condominio negli edifici non appaiono ammissibili cause di nullità diverse dalla impossibilità giuridica e dalla illiceità dell’oggetto.
Invero, la limitazione delle cause di nullità ai vizi dell’oggetto - consistenti nella inidoneità delle delibere a regolare gli interessi contemplati, in astratto o secondo l’assetto predisposto in concreto, ovvero nella violazione di norme imperative o nella lesione dei diritti soggettivi dei singoli condomini - si spiegano con i confini, fissati in materia di condominio negli edifici, al metodo collegiale ed al principio di maggioranza. Tanto la impossibilità giuridica, quanto la illiceità dell’oggetto derivano dal difetto di attribuzioni in capo all’assemblea, considerato che la prima consiste nella inidoneità degli interessi contemplati ad essere regolati dal collegio che delibera a maggioranza, ovvero a ricevere dalle delibere l’assetto stabilito in concreto, e che la seconda si identifica con la violazione delle norme imperative, alle quali l’assemblea non può derogare, ovvero con la lesione dei diritti individuali, attribuiti ai singoli dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.
Se gli interessi, dei quali l’assemblea decide, non sono idonei ad essere disciplinati con il metodo collegiale e con il principio di maggioranza, o non è ammesso l’assetto conferito agli interessi in concreto, ovvero se vengono violate norme imperative, oppure sono lesi gli interessi tutelati con l’attribuzione di diritti, il vizio inerente all’oggetto riveste una gravità tale, per cui l’atto non produce effetti, non è suscettibile di sanatoria per la mancanza di impugnazione nel termine di cui all’art. 1137 comma 3 da parte dei condomini dissenzienti o assenti e, per contro, può essere sempre impugnato da chiunque abbia interesse (arg. ex artt. 2379 e 1422 cod. civ.).
2.5 La formula dell’art. 1137 cod. civ. deve interpretarsi nel senso che per "deliberazioni contrarie alla legge" s’intendono le delibere assunte dall’assemblea senza l’osservanza delle forme prestabilite dall’art. 1136 (ma pur sempre nei limiti delle attribuzioni specificate dagli artt. 1120, 1121, 1129, 1132, 1135 cod. civ.). Mentre le cause di nullità afferenti all’oggetto raffigurano le uniche cause di invalidità riconducibili alla "sostanza" degli atti, alle quali l’ordinamento riconosce rilevanza, sono inficiate da un vizio di forma le deliberazioni quando l’assemblea decide senza l’osservanza delle forme procedimentali stabilite dalla legge per assicurare la partecipazione di tutti i condomini alla formazione della volontà collettiva per gestire le cose comuni. Perciò, se gli stessi condomini ritengono che dal provvedimento approvato senza l’osservanza delle forme prescritte non derivi loro un danno, manca il loro interesse a chiedere l’annullamento. Il difetto di impugnazione nei termini viene considerato come acquiescenza ad eseguire la delibera.
Dalla disciplina riguardante i soggetti legittimati ad impugnare, il termine e le conseguenze della omessa impugnazione si argomenta che la contrarietà alla legge ed al regolamento di condominio, contemplata dall’art. 1137 comma 2 e 3 cod. civ., riguarda soltanto i vizi meno gravi sanzionati con la annullabilità. Le delibere affette da questi vizi, se non vengono impugnate dai condomini dissenzienti ed assenti entro trenta giorni, restano valide ed efficaci nei confronti di tutti in via definitiva.
Il precetto dell’art. 1137 cit. corrisponde al disposto dell’art. 2377 cod. civ., dettato in tema di società di capitali, che dell’annullamento fa menzione esplicita. Anche nel condominio negli edifici, la difformità delle delibere dalla legge o del regolamento per quanto attiene al procedimento di formazione produce un vizio non grave che, se non viene fatto valere dai condomini dissenzienti o assenti entro il termine prescritto, non inficia gli atti, i quali restano in vita e continuano a produrre gli effetti.
Del resto, la giurisprudenza considera come cause di annullabilità, in quanto configurano vizi afferenti al procedimento, la mancata sottoscrizione del verbale da parte del presidente (Cass., Sez. II, 29 ottobre 1973, n. 2812); l’irregolarità del procedimento di convocazione o di informazione dei condomini (Cass., Sez. II, 21 settembre 1977, n. 4035; Cass., Sez. II, 29 gennaio 1974, n. 237); l’incompletezza dell’ordine del giorno (Cass., Sez. II, 23 maggio 1992, n. 6212; Cass., Sez. II, 9 luglio 1980, n. 4377); la partecipazione all’assemblea di un condomino munito di un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento di condominio (Cass., Sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7402).”


*** ***


La sentenza oggetto del ns. commento, poi, conferma un ulteriore principio di diritto che appare maggioritario e recentemente più volte ribadito dalla C.C.
Innanzitutto sulla natura del giudizio: che non è quella prevista per i provvedimenti da prendersi in Camera di Consiglio, ex art. 737 e segg. c.p.c.; ma si tratta, invece, di una vera e propria controversia giuridica, nelle forme del procedimento contenzioso e nel rispetto del principio del contraddittorio, così come previsto nell’art. 101 c.p.c., dovendosi stabilire, con efficacia di giudicato e perciò mediante sentenza, se sono lesive, o meno, dei diritti soggettivi del condomino dissenziente o consenziente (Cass. civ. 5.5.1975, n. 1176).
Per quanto concerne la forma dell’impugnazione, appare oramai pacifico che la stessa debba essere proposta con “ricorso”, anche se alcune sentenze avevano ritenuto rituale la notifica dell’atto di citazione, purché questa ovviamente venga effettuata al Condominio nel termine previsto dei trenta gg. dalla data della delibera o della sua conoscenza, dovendosi anche così considerate rispettate le esigenze tutelate dalla citata norma (art. 1137 c.c.)
In tal senso, cfr. Cass. civ. 16.2.1988, n. 1662 e Cass. civ. 27.2.1988, n. 2073 (vedi anche TERZAGO, Il Condominio, 1998, 346).
Pertanto, la forma del ricorso, che è stabilita principalmente nell’interesse della parte che impugna la delibera, non è essenziale e deve ritenersi ammissibile l’istanza proposta con ordinaria citazione quando l’attore, pur non essendosi avvalso del mezzo semplificato concessogli ed indicatogli dalla legge, sia riuscito a notificare l’atto di citazione nel termine perentorio stabilito ed abbia realizzato la regolare costituzione del contraddittorio senza cagionare alcun ritardo nel procedimento.
Deve dunque, dichiararsi l’ammissibilità dell’impugnazione di una delibera condominiale quando la stessa venga proposta dall’interessato sia con ricorso presentato nei trenta giorni sia con atto di citazione notificato al condominio entro lo stesso termine.

 


SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 724/99 R.G. A.C., n. 202 R.S., posta in decisione, previ gli incombenti di cui all’art. 190 c.p.c., cbn disp. art. 281-quinquies c.p.c., all’udienza di precisazione delle conclusioni di giovedì 7 febbraio 2002,

promossa da

M. S., M. A. e M. M.,

elettiv.te domiciliati in Messina, Via XXVII Luglio, 62, presso lo studio dell’Avv. Antonino De Luca Zuccaro, che li rappresenta e difende, unitamente all’Avv. S. M. del foro di Enna, giusta procura a margine del ricorso introduttivo,

ricorrenti,

contro

Condominio XXXX XXXXX di Letojanni,

sito in Letojanni, ____________, in persona del suo amministratore pro tempore

resistente contumace.

oggetto: Impugnazione delibera di assemblea di condominio

Conclusioni

I procuratori hanno precisato le conclusioni riportandosi a quanto dedotto, chiesto ed eccepito nei rispettivi atti e nei verbali di causa.

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 2 aprile 1999, M. S., M. A. e M. M. adivano questo tribunale chiedendo dichiararsi la nullità delle deliberazioni adottate dall’assemblea del Condominio XXXX di Letojanni in data 6 marzo 1999. Ne assumevano la radicale nullità in mancanza di idonea preventiva convocazione dell’assemblea e, comunque, ne deducevano la illegittimità perché relative a innovazioni comportanti spese eccessivamente gravose.

Nonostante la rituale notifica dell’atto introduttivo, nessuno si costituiva per il condominio convenuto, che era pertanto dichiarato contumace.

Ordinata la sospensione dell’efficacia delle delibere impugnate ed acquisita pertinente documentazione, in mancanza di richieste istruttorie, i ricorrenti erano invitati a precisare le conclusioni: incombente cui essi provvedevano, nei termini in epigrafe riportati, all’udienza del 7 febbraio 2002.

Trascorsi i termini ex art. 190 c.p.c., cbn. dsp. art. 281 quinquies c.p.c., questo giudice pronuncia la presente per i seguenti

MOTIVI DELLA DECISIONE

Secondo pacifico indirizzo, presupposto indispensabile per la valida costituzione dell’assemblea del condominio degli edifici è l’invio, con congruo anticipo (almeno cinque giorni prima ex art. 66, comma terzo, disp. att. c.c.), a tutti coloro che hanno diritto a parteciparvi, dell’avviso di convocazione, contenente la precisa indicazione della data e del luogo della riunione.

Si ritiene peraltro – secondo orientamento di recente affermatosi nella giurisprudenza della Cassazione - che la mancanza di tale adempimento comporti non la nullità, ma l’annullabilità relativa della delibera condominiale, che può essere fatta valere solo dal condomino che non ha concorso alla sua formazione (assente, dissenziente o astenuto) entro il termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 comma 3 c.c. (Cass. 5 febbraio 2000, n. 1292 in Foro it. 2001, fasc. 11, parte I, c. 3225 ss.; Cass. 2 ottobre 2000, n. 13013).

Nella specie l’assunto dei ricorrenti, secondo cui l’avviso da essi ricevuto indicava, per la seconda convocazione, una data diversa da quella effettivamente ad essa destinata, trova conferma nella prodotta copia della lettera d’invito, nella quale, invero, per un evidente (ma non altrimenti emendabile) errore materiale, la data indicata per la seconda convocazione è la stessa di quella indicata per la prima convocazione e comunque è diversa da quella in cui poi si tenne l’assemblea ove poi fu approvata la delibera impugnata (l’avviso contiene l’indicazione erronea: "5.3.1999", anziché quella esatta del "6.3.1999"). L’onere della prova della corretta e tempestiva convocazione incombe del resto sull’autore della convocazione e nella specie è rimasto non assolto.

L’evidenziato errore rende irrimediabilmente incerto tale requisito essenziale dell’avviso di convocazione - il quale rimane pertanto inidoneo allo scopo - e si risolve in un vizio di radicale inesistenza dello stesso e, dunque, come detto, in una causa di annullabilità della delibera.

I ricorrenti risultano poi assenti dall’assemblea e dunque legittimati all’impugnazione della delibera, che risulta proposta tempestivamente nel termine di trenta giorni dalla sua adozione e, a fortori, dalla sua conoscenza.

Al riguardo occorre notare che la forma seguita per l’introduzione della domanda (ossia il ricorso) è da ritenere valida e perfettamente idonea allo scopo in quanto rispondente al disposto dell’art. 1137 c.c. che letteralmente affida l’impugnazione delle delibere condominiali annullabili al ricorso.

È noto in proposito che, nonostante argomentata diversa ricostruzione propugnata dalla dottrina e presente nella giurisprudenza di merito (secondo cui il riferimento normativo al ricorso è da intendersi frutto di una scelta espressiva atecnica, equivalente a istanza o domanda, ma senza alcuna volontà di porre una specifica disciplina processuale della forma di tale domanda, da rinvenire nelle norme processuali comuni del giudizio ordinario di cognizione), la Cassazione appare ferma invece nel ritenere che il riferimento sia posto nel suo significato tecnico e che dunque il ricorso, inteso nel suo significato proprio di atto processuale, contenente gli estremi della domanda ex art. 125 c.p.c. e rivolto al giudice, sia la corretta forma di proposizione del giudizio di impugnazione delle delibere assembleari (almeno di quelle soggette al regime dell’art. 1137 c.c., ossia di quelle meramente annullabili), sia pure con divergenti indicazioni circa: a) le attività da compiere entro il termine decadenziale (se cioè sia sufficiente il deposito del ricorso – come appare più coerente – ovvero sia anche imposta la notifica al condominio); b) la possibilità di un’alternativa forma di proposizione mediante citazione e, in tal caso, se per non incorrere nella decadenza basti la sola notifica della citazione a controparte o occorra anche il suo tempestivo deposito in cancelleria (come apparirebbe più coerente con la costante giurisprudenza relativa all’analoga questione degli appelli proposti con citazione in materia di lavoro o di separazione e divorzio).

Ne discende ulteriormente che, stante la forma nella specie prescelta per l’introduzione del giudizio, rimane privo di rilievo invalidante il fatto che tra la data di notifica del ricorso e del pedissequo decreto (perfezionatasi a mezzo posta in data 23 aprile 1999) e quella della udienza fissa per la prima comparizione delle parti (22 giugno 1999) non risulti rispettato il termine libero prescritto dall’art. 163-bis c.p.c. di sessanta giorni (tra le date suddette rimangono liberi infatti solo cinquantanove giorni).

Invero, secondo la ricostruzione che appare preferibile, sebbene il ricorso in esame introduca un processo (di impugnazione) a cognizione piena, ad esso non riesce applicabile l’art. 163 c.p.c., per cui né il ricorso, né il decreto di fissazione dell’udienza dovranno contenere l’avvertimento previsto a pena di nullità dell’art. 163, 3° comma, n. 7, c.p.c.; osta, infatti, a tale interpretazione il principio della tassatività delle nullità ex art. 156 c.p.c., per cui l’applicazione dell’art. 164 c.p.c. potrà avvenire in via analogica, in riferimento alla inidoneità del ricorso al raggiungimento dello scopo, ma è esclusa l’applicazione diretta della detta fase introduttiva del processo ordinario di cognizione. Pertanto, il giudice designato non sarà tenuto al rispetto dei termini di comparizione previsti per il giudizio davanti al tribunale e, in pratica, non dovrà necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti in un termine superiore a sessanta giorni decorrenti dalla notificazione del ricorso e del pedissequo decreto (v. art. 163 bis c.p.c.), mentre il convenuto condominio non dovrà costituirsi in giudizio nei termini e con le modalità di cui agli art. 166, 167 e 180 c.p.c. (così come modificati dalla l. 534/95), non potendo operare nei suoi confronti le decadenze e le preclusioni previste in tali disposizioni, atteso che, tra l’altro, i termini perentori sono soltanto quelli dichiarati espressamente tali dalla legge e che il giudice può comminarli solo nei casi previsti dalla legge medesima (v. art. 153 c.p.c.). Né diversa conclusione può essere nella specie imposta dal fatto che il presidente del tribunale, con il decreto steso in calce al ricorso contenente la designazione del giudice istruttore e la fissazione dell’udienza, abbia fatto onere al ricorrente del rispetto del "termine di legge" e abbia fatto anche riferimento agli oneri ed alle decadenze del convenuto siccome fissati dall’art. 167 c.p.c.. Alla stregua della ricostruzione sopra accolta tale decreto rimane non vincolante nella presente sede decisoria e privo di effetti preclusivi, che non possono essere prodotti da provvedimenti giurisdizionali in mancanza di riconoscibile fondamento normativo. Né l’inosservanza del "termine di legge" come fissato in decreto può ritenersi di per sé causa di nullità dell’atto introduttivo: anzitutto perché il richiamo in sé appare equivoco (dal momento che, a rigore, nessun termine è dalla legge imposto per la notifica del ricorso nei giudizi di impugnazione avverso delibere condominiali); in secondo luogo perché, anche ad intender riferito il termine all’art. 163-bis c.p.c. (ma il richiamo, per quanto detto, sarebbe improprio) e dunque fissato per relationem in sessanta giorni, resterebbe comunque un termine non assistito da alcuna diretta sanzione di nullità, ma meramente ordinatorio, la cui inosservanza non può di per sé ritenersi causa di nullità dell’atto, almeno tutte le volte in cui – come nella specie – il termine effettivamente osservato (nel nostro caso cinquantanove giorni) risulti comunque adeguato allo scopo.

Va pertanto pronunciato l’annullamento della delibera impugnata.

Alla soccombenza segue la condanna dei resistenti alla rifusione, in favore dei ricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

La presente sentenza è per legge provvisoriamente esecutiva.

P.Q.M.

Il Tribunale di Messina, Seconda Sezione Civile, in composizione monocratica, udito il procuratore dei ricorrenti, definitivamente pronunciando – nella contumacia del convenuto - sulla domanda proposta, con ricorso in data 2 aprile 1999, da M. S., M. A. e M. M. contro il Condominio XXXX di Letojanni, in persona del suo amministratore pro tempore, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o difesa, così provvede:

annulla le delibere approvate dall’assemblea dei condomini riunitasi in data 6 marzo 1999;

condanna il condominio convenuto alla rifusione in favore dei ricorrenti, in silido, delle spese processuali, liquidate in complessivi € 1.964,26 (di cui € 151,32 per spese vive, € 596,51 per diritti di procuratore, € 750,00 per onorario d’avvocato, € 134,65 per rimborso forfettario spese generali, € 29,62 per C.P.A. e € 302,16 per rivalsa I.V.A.);

dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.

 

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