Ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il decreto di revoca dell’amministratore del condominio
Cassazione civ., sez. II, 10 gennaio 2003, n. 184
[Pres. Vella – Rel. De Julio]
di Franco Ballati
Contro il provvedimento con il quale la corte di appello decide il reclamo avverso il decreto del Tribunale che ha pronunciato la revoca dell’amministratore di condominio è ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 della Costituzione, in quanto tale provvedimento, emesso su istanza di alcuni soltanto tra i condomini, comporta la risoluzione anticipata e definitiva (contro la quale non è previsto alcun altro rimedio) del rapporto di mandato esistente fra tutti i condomini, da un lato, e l’amministratore, dall’altro, e cioè incide su diritti soggettivi.
Alcuni condomini chiedevano al Tribunale di Roma la revoca dell’amministratore, a causa delle dedotte (gravi) inadempienze ed irregolarità dallo stesso commesse.
Tale richiesta veniva respinta dal Tribunale; e sul reclamo proposto dai soccombenti condomini, la Corte di Appello di Roma confermava la decisione assunta dal Tribunale, rilevando che all’amministratore non poteva essere addebitato il ritardo verificatosi nel rilascio del certificato prevenzione incendi relativo alla centrale termica in dotazione al condominio.
Avverso tale pronuncia, i condomini proponevano ricorso per cassazione, ex art. 111 della Costituzione.
Dispone l’art. 1129 c.c., 3 co., sulla revoca e nomina dell’amministratore:
“può altresì essere revocato dalla autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, oltre che nel caso previsto dall’ultimo comma dell’art. 1131 c.c., se per due anni non ha reso il conto della sua gestione, ovvero vi sono fondati sospetti di gravi irregolarità”.
Ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, 7 co.:
“contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra”.
In merito ai motivi che conducono alla revoca giudiziale dell’amministratore del condominio, in giurisprudenza, sono stati considerati motivi giustificativi di tale revoca giudiziale:
la mancata comunicazione all’assemblea dell’avvenuta notificazione di una citazione o di un provvedimento, il cui contenuto esorbiti dalle attribuzioni proprie dell’amministratore, se da ciò derivi un nocumento concreto ai condomini;
l’omissione della presentazione del rendiconto in un biennio (due esercizi consecutivi) e della messa a disposizione dei condomini delle pezze giustificative e della convocazione dell’assemblea per la discussione del rendiconto entro tale termine (vedi C.A. Milano, 184/1973, in Foro pad., 1973, I, 40);
la presenza di fondati sospetti di gravi irregolarità. Ora tali fondati sospetti “debbono rivestire la caratteristica di indizi precisi, gravi, molteplici e concordanti con una valutazione complessiva di tutti gli elementi che presentino una potenziale efficacia probatoria.”. In altre parole le irregolarità soggettive od oggettive “debbono rivestire una tale gravità da porre in pericolo la gestione economica e sociale del condominio, ovvero incidere stabilmente sul rapporto di fiducia che è alla base di ogni mandato” (Trib. Lecco 2.6.1987, in Giust, it., 1988, I, 2206) e “non si esauriscono nelle anomalie contabili, ma si estendono a tutti quei comportamenti che fanno sospettare una gestione anomala, con l’unico limite della loro gravità” (Corte di App. Genova, 6.11.1990, in Foro pad., 1991, I, 162).
Sono state considerate gravi irregolarità commesse dall’amministratore del condominio nell’ambito del suo mandato:
influenzare l’assemblea dei condomini, in occasione di particolare delibere, insistendo per l’approvazione di soluzioni gradite solo ad alcuni (Corte App. Genova, 6.11.1990, cit.);
il versamento delle quote condominiali e dei fondi di riserva sul proprio conto personale (Trib. Milano, 29.9.1993, Giust. it., 1994, I, 2634);
la volontaria intenzione di ostacolare l’informazione dei condomini in ordine alla convocazione dell’assemblea – l’errore non deve essere casuale, ma intenzionale (Corte App. Genova, 5.4.1991, in Arch. Loc., 1991. 570).
Si è in proposito statuito, in giurisprudenza:
“La mancanza di prova sulla volontaria intenzione da parte dell’amministratore del condominio di ostacolare l’informazione di tutti i condomini sulla convocazione della assemblea non può integrare l’ipotesi di una grave irregolarità a lui ascrivibile al fine della sua revoca da parte dell’autorità giudiziaria” (Corte App. Genova, 5.4.1991, cit.). “La fattispecie dei «fondati sospetti di gravi irregolarità» di cui al comma 3 dell’art. 1129 c.c., che legittima la revoca da parte dell’autorità giudiziaria, non si può ravvisare ogniqualvolta l’assemblea condominiale abbia adottato delle deliberazioni nulle o annullabili e l’amministratore si sia limitato a darvi esecuzione, perché in questo caso il condomino che si ritiene leso ha il più agevole e corretto rimedio dell’impugnazione della delibera o del ricorso alla autorità giudiziaria mediante strumenti appositamente previsti dalla legge” (Trib. Firenze, ord. 22.4.1991). “La mancata adozione da parte dell’amministratore di condominio di un conto corrente separato, rispetto al suo patrimonio personale, con conseguente promiscuità gestionale, costituisce irregolarità di tale gravità da comportare la revoca del mandato” (Trib. S.Maria Capua a Vetere, 15.7.1997).
E si è altresì statuito che la valutazione se nell’operato dell’amministratore condominiale sia ravvisabile, o meno, il valido motivo della sua revoca giudiziale ai sensi dell’art. 1129 c.c., spetta al giudice di merito, la cui motivazione non è sindacabile in sede di legittimità in seguito a ricorso ex art. 111 della Cost. (vedi sent. Cass. civ., 23.8.1999, n. 8837, in Foro it., 2000, I, 1673).
Il ricorso per la revoca dell’amministratore verrà deciso, in Camera di Consiglio, con decreto motivato dal Tribunale del luogo dove si trova l’immobile, previa audizione dell’amministratore (ove si presenti) e previa instaurazione, quindi, di un vero e proprio contraddittorio (vedi art. 44 disp. att. c.c.), con la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza.
Sulla richiesta di revoca dell’amministratore, il Tribunale provvede, dunque, con decreto motivato; e se accoglie la proposta domanda di revoca, non può però procedere alla nomina di un nuovo amministratore, che rimane di competenze dell’assemblea dei condomini.
Contro il provvedimento di revoca adottato dal Tribunale può essere posposto reclamo alla Corte di Appello territorialmente competente nel termine di 10 gg. dalla sua notificazione (ciò ai sensi dell’art. 64, 2 co., disp. att. c.c.).
Ove non sia proposto, il decreto acquista efficacia definitiva e decorre “dalla data dell’inutile spirare del termine per il reclamo e non già dalla data della relativa istanza, non essendo al riguardo applicabile … il principio della retroattività di questa al momento della domanda”.
Sull’ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., avverso il decreto della Corte di Appello in tema di revoca dell’amministratore condominiale, esiste, da anni, un contrasto giurisprudenziale, con un prevalente orientamento della S.C.C. nel senso dell’inammissibilità del predetto ricorso straordinario, vertendosi in materia di provvedimento di volontaria giurisdizione, non destinato ad incidere su posizioni di diritto soggettivo ed insuscettibile di passaggio in giudicato, potendo gli interessati ricorrere al giudice per chiedere un nuovo provvedimento in senso difforme al precedente.
Principio, questo, ribadito e congruamente motivato dalla Corte, anche di recente. Vedi, in proposito, la sent. n. 4706 del 30.3.2001 (Pres. Pontorieri F.; Rel. Mazziotti Di Celso”), che così motiva:
“Occorre premettere che, in linea generale, l’attività di volontaria giurisdizione non costituisce l’espressione del potere-dovere del giudice di decidere controversie in cui si contrappongono opposte posizioni giuridiche diverse - l’una delle quali intende far accertare o applicare un proprio diritto soggettivo nei confronti dell’altra - ed è essenzialmente volta alla pronuncia di provvedimenti a tutela di interessi che l’ordinamento considera meritevoli e per i quali l’intervento dell’autorità giudiziaria è richiesto (di regola per sopperire all’inerzia, o all’inefficiente attività, di privati titolari di un potere negoziale al riguardo) ai soli fini dell’attuazione del diritto obiettivo.
In particolare il provvedimento dell’autorità giudiziaria relativo alla revoca o alla nomina dell’amministratore di condominio (di accoglimento o di reiezione dell’istanza di uno o più condomini) è privo di definitività - in quanto suscettibile di successiva modifica o revoca - e pur se coinvolge posizioni di diritto soggettivo non statuisce su di esse con la forza di un atto idoneo ad assumere autorità vincolante di giudicato. Identica natura deve essere attribuita al decreto di segno positivo o negativo, emesso dalla corte di appello sul reclamo, che si sostituisce al provvedimento reclamato con pari funzione e non si sottrae alle dette caratteristiche comportanti provvisorietà e revocabilità.
Deve poi rilevarsi che la questione dell’ammissibilità o meno del ricorso per cassazione, ex articolo 111 Costituzione, avverso i provvedimenti con i quali la corte di appello decide sul reclamo proposto contro i decreti del tribunale - pronunciati in sede di volontaria giurisdizione - di revoca dell’amministratore di condominio, è stata numerose volte affrontata da questa Corte e risolta prevalentemente nel senso negativo (che il Collegio condivide) trattandosi di atti inidonei al giudicato e non destinati ad incidere su posizioni di diritto soggettivo perché modificabili e revocabili in ogni tempo anche con efficacia “ex tunc” potendo gli interessati nuovamente ricorrere al giudice per ottenere un altro provvedimento difforme da quello precedente (sentenze 23/2/1999 n. 1493; 27/3/1998 n. 3246; 10/5/1997 n. 4090; 20/2/1992 n. 2085).
Le osservazioni che precedono sono ancor più valide e convincenti con riferimento al caso - che è quello in esame - di provvedimento di revoca dell’amministratore di condominio in carica o di nomina di altro amministratore in sostituzione di quello revocato: ben possono i singoli condomini chiedere la revoca del provvedimento reso in sede di volontaria giurisdizione o proporre nei confronti del condominio un giudizio autonomo per far valere le loro ragioni. Del pari i condomini possono superare e rendere inoperativo il provvedimento del giudice deliberando - con la maggioranza di cui al secondo comma dell’articolo 1136 c.c. - la nomina di un nuovo amministratore al posto di quello revocato.
Il procedimento camerale di volontaria giurisdizione - relativo alla nomina o alla revoca dell’amministratore del condominio o, comunque, promosso ex quarto comma articolo 1105 c.c. - non può considerarsi contenzioso in senso tecnico: anche se l’istanza di nomina (o di revoca) dell’amministratore del condominio si innesta in un vero e proprio contrasto tra i condomini o tra alcuni condomini e l’amministratore, è certo che il provvedimento a cui il predetto procedimento tende (privo del carattere della definitività) è strumentale solo alla gestione della cosa comune e, quindi, alla tutela - al contrario di quanto erroneamente affermato nell’impugnata sentenza - dell’interesse generale e collettivo del condominio ad una corretta amministrazione e non alla tutela di interessi particolari di alcuni condomini o dell’amministratore e, anche quando si inserisce in una situazione di conflitto tra i singoli condomini, si esaurisce in un intervento del giudice di tipo sostanzialmente amministrativo del tutto privo dei caratteri della decisione con attitudine a produrre gli effetti del giudicato su posizioni soggettive in contrasto. La funzione del provvedimento richiesto è solo quella di evitare che il condominio sia sprovvisto di un valido organo necessario alla sua gestione, prescindendo dall’eventuale esistenza di contrasti e conflitti tra i condomini in ordine alla concessione o al diniego di detto provvedimento che non è diretto a risolvere tali contrasti e conflitti (inidonei a qualificare come contenzioso il procedimento di volontaria giurisdizione iniziato) da affrontare e superare o nella sede assembleare o in quella giurisdizionale secondo le regole ordinarie: rispetto a tale ultima sede il provvedimento di volontaria giurisdizione adempie soltanto una funzione eventualmente interinale e provvisoria, in attesa che la fase contenziosa, se promossa, giunga alla sua conclusione definitiva con la pronuncia giudiziale.”.
Conformi a tale principio:
Cass. civ., sez. II, 15.5.2002, n. 6249, Pres. Calfapietra, Rel. Delcore ; Cass. civ., sez. II, 23.2.1999, n. 1493, Pres. Baldassarre, Rel. Pontorieri; Cass. civ., sez. II, 10.5.1997, n. 4090, Pres. Marconi, Rel. Calfapietra [“alla luce della norma ex art. 739 c.p.c. contro i decreti della Corte di Appello pronunziati in sede di reclamo non è ammesso il ricorso per Cassazione previsto dall’art. 360 c.p.c.; tale ricorso è consentito solo quando la legge lo preveda espressamente in via eccezionale (art. 26 L. 4.5.1983, n. 184, art. 5 L. 13.4.1988 n. 117, etc. …), quando la legge prevede che il rito camerale si concluda con sentenza anziché con decreto (art. 724 c.p.c., 728 c.p.c., 288 c.c. …), quando venga proposto per motivi attinenti alla giurisdizione o alla competenza o alle forme del procedimento (Cass. 9 dicembre 1985 n. 6223)]; Cass. civ., sez. II, 28.4.1994, n. 4038, Pres. Anglani F., Rel. Marotta R.; Cass. civ., sez. II, 19.11.1993, n. 11431, Pres. Anglani F. - Rel. Moscato G.; Cass. civ., sez. II, 25.08.1993, n. 8994, Pres. Sammartino M . Rel. Corona R.; Cass. civ., sez. I, 18.03.1997, n. 2399, Pres. Lipari N., Rel. Rovelli L.A.; Cass. Civ., 4.2.1988, n. 1103; Cass. civ., sez. II, 28.4.1994, n. 4038, Pres. Anglani F., Rel. Marotta R., secondo cui: “Orbene, dalla copiosa elaborazione giurisprudenziale avutosi sulla detta questione (con particolare riferimento al provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c.), è dato enucleare il principio secondo cui un provvedimento giurisdizionale, non soggetto ad altro mezzo di impugnazione, è impugnabile con ricorso per cassazione, ex art. 111 della costituzione, quando, indipendentemente dalla forma rivestita, esso abbia i caratteri della definitività e della decisorietà, sia cioè idoneo ad incidere definitivamente (per la sua suscettibilità di passare in giudicato) su posizioni di diritti soggettivi in conflitto (per l’affermazione del principio che a condizionare la impugnabilità del provvedimento giurisdizionale in genere con il ricorso per cassazione ex art. 111 della Costituzione siano i requisiti della definitività e della decisorietà nel senso sopra specificato, v. Cass. Sez. Un. civ., n. 3947 del 30 settembre 1989; per l’affermazione del detto principio con riguardo al provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c., v. tra altre, Cass. n. 5744 del 27 giugno 1987, n. 4619 dell’8 luglio 1983; n. 1500 del 16 marzo 1981, n. 444 del 19 gennaio 1980; per l’affermazione dello stesso principio con riguardo ai provvedimenti adottati col rito camerale, v., tra altre, Cass. n. 4823 del 4 agosto 1988, n. 1103 del 4 febbraio 1988, n. 5408 del 7 novembre 1985, n. 2151 del 27 marzo 1985; n. 1115 del 24 febbraio 1981; n. 399 del 19 gennaio 1979)”.
Orientamento, quindi, della Suprema Corte, assolutamente prevalente nel senso di escludere l’ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il decreto emanato dalla Corte di Appello in tema di revoca dell’amministratore del condominio.
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La sentenza della Corte che si commenta, invece, ritiene di dover aderire all’orientamento opposto, minoritario, e positivo, introdotto dalle due uniche sentenze che si conoscono, entrambe della Sez. II civ.: la n. 4030 del 28.4.1994, Pres. Sammartino, Rel.Vella A.; e la n. 4620 del 18.5.1996, Pres. Verde F., Rel. Triola R.M..
Quest’ultima, in particolare, aveva osservato:
“appare contraddittorio riconoscere il carattere decisorio di un provvedimento (e) negare contemporaneamente allo stesso la attitudine a passare in giudicato.
In senso contrario alla inidoneità del provvedimento di revoca dell’amministratore a passare in giudicato (con conseguente sua revocabilità) va osservato che secondo autorevole dottrina l’efficacia di un provvedimento e la sua revocabilità od irrevocabilità dipendono dal suo contenuto, dalla natura dell’attività che l’organo giurisdizionale ha svolto nel pronunciarlo, per cui se l’organo ha deciso una lite tra due parti, attuando il diritto a favore dell’uno o dell’altro, le ragioni politico-sociali che sono all’origine dell’istituto della cosa giudicata impongono di attribuire al provvedimento (qualunque sia il suo nome e la sua forma) un’efficacia che valga a porre un termine definitivo alla controversia.
Con riferimento specifico al provvedimento previsto dall’art. 64 disp. att. c.c., va ricordato che con esso il giudice non sospende l’amministratore, ma cioè pone in uno stato di quiescenza temporaneo il rapporto tra condominio e amministratore, ma revoca quest’ultimo, cioè pone definitivamente termine ante tempus al rapporto in questione.
A prescindere, poi, dalla possibilità teorica che il giudice ripristini un rapporto contrattuale al quale in precedenza ha posto termine, la possibilità pratica per le parti di ricorrere nuovamente al giudice per ottenere un provvedimento di senso difforme da quello di revoca dell’amministratore in precedenza emesso è spesso da escludere.
A seguito della revoca, infatti, il condominio potrebbe (e nel caso di condominio con più di quattro partecipanti dovrebbe) avere nominato un nuovo amministratore, oppure tale amministratore potrebbe essere stato nominato dallo stesso giudice adito da uno dei condomini ex art. 1129, primo comma, c.c.
Nella prima ipotesi alla revoca osterebbe il disposto dell’art. 742 c.p.c., il quale fa salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla revoca stessa.
Nella seconda ipotesi la revoca sarebbe inefficace, se non accompagnata anche dalla revoca della nomina del nuovo amministratore, in relazione alla quale mancherebbero, però, i presupposti di legge.”.
La sentenza n. 184/2003, oggetto del ns. commento, va oltre tali considerazioni.
E, preliminarmente, osserva che, ai fini della ricorribilità, non costituisce ostacolo la natura (decreto e non sentenza) dell’impugnato provvedimento, in quanto per giurisprudenza costante, “ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 della Costituzione il termine “sentenza” non va inteso nel significato proprio di provvedimento emesso nelle forme e nei casi di cui agli artt. 132 e 279 c.p.c., ma deve essere interpretato estensivamente, in guisa da comprendervi tutti i provvedimenti giurisdizionali, anche se legittimamente emessi sotto forma di ordinanza o di decreto, rispetto ai quali non sia previsto alcun altro rimedio, a condizione, però, che si tratti di provvedimenti decisori comunque incidenti su diritti soggettivi ed aventi piena attitudine a produrre, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale o processuale sul piano contenzioso, sì che la loro eventuale ingiustizia comporterebbe per la parte un pregiudizio definitivo ed irreparabile”.
Sulla base di tale premessa, la Cassazione critica l’orientamento prevalente, giudicando “contraddittorio riconoscere il carattere decisorio di un provvedimento e negare contemporaneamente allo stesso la attitudine a passare in giudicato (cfr. sentenza 1861/64 e 1103/88)”.
In effetti, con il decreto previsto dall’art. 64 disp. att. c.c., il giudice non si limita a sospendere l’amministratore, ma pone definitivamente termine, prima della scadenza del suo mandato, al rapporto, mentre appare tutta teorica la possibilità che le parti ricorrano (nuovamente) al giudice per ottenere un provvedimento contrario rispetto a quello (di revoca dell’amministratore) emesso in precedenza, anche perché, come di solito avviene, vi è già stata, nel frattempo, la nomina di un nuovo amministratore, o da parte dell’assemblea, oppure con un nuovo ricorso alla autorità giudiziaria, ex art. 1129 c.c.
Pertanto, il provvedimento emesso anche soltanto su istanza di qualche condomino, comporta la risoluzione anticipata e definitiva (contro la quale non è previsto alcun rimedio) del rapporto di mandato esistente fra tutti i condomini, da un lato, e l’amministratore, dall’altro, venendo così ad incidere su diritti soggettivi.
In proposito, giusta disposizione dell’art. 1726 c.c., nel caso di mandato collettivo, ove ricorra una giusta causa, la revoca può essere fatta (o richiesta) anche da uno solo dei mandanti.
In considerazione, quindi, del contrasto esistente fra diverse Sezioni della S.C.C., come sopra riferito, una decisione a Sezioni Unite si impone.
Per completezza di informazione, infine, si ricorda che, anche in dottrina, è di gran lunga prevalente l’orientamento maggioritario della giurisprudenza e cioè che il provvedimento dell’autorità giudiziaria che revoca l’amministratore, con decreto motivato, ha carattere amministrativo e non contenzioso (BRANCA, Comunione, Condominio degli edifici, 1965, 483; NOBILE, l’Amministratore del Condominio, 1965, 23: NOBILE, Il provvedimento giudiziale di revoca dell’amministratore nel condominio edilizio, Temi 1954, 179; ANDRIOLI, Comm. Cod. proc. civ., IV, 1964, 480; SALIS, Il condominio negli edifici, 1959, 291; VISCO, Le case in condominio, 1967, 609; DI TRIOLA, Manuale del Condominio, 1995, 381; cfr. anche DE TILLA, Il condominio, II, 1994, 290).
SENTENZA
Svolgimento del processo
Con ricorso in data 23 ottobre 1997 Cesare Stiriti, Maria Orazia Messina, Ugo Igliozzi, Giuliana Petrucci e Annunziata Dell’Omo, condomini del condominio La Fiorita, in Roma, via P. Baffi 14, 26, 28, chiedevano al Tribunale di Roma la revoca dell’amministratore Rossana De Angelis, in considerazione delle inadempienze ed irregolarità di cui la sessa si era resa responsabile.
Il Tribunale di Roma, con decreto in data 24 aprile 1998, rigettava la richiesta.
Gli originari ricorrenti proponevano reclamo.
Altro reclamo veniva proposto da Rossana De Angelis, che si doleva della compensazione delle spese.
Con decreto in data 19 aprile 1999 la Corte di appello di Roma rigettava il reclamo proposto dai condomini con la seguente motivazione:
sul merito delle censure dei condomini, va rilevato che è depositato in atti il certificato rilasciato il 5 luglio 1998 di prevenzione incendi relativo alla centrale termica del condominio onde è superata ogni questione al riguardo, ferma restando la non addebitabilità all’amministratore, per i motivi già indicati nel provvedimento reclamato che la corte conferma, del ritardato rilascio del detto certificato. Per quanto riguarda l’asserita illegittima ripartizione delle spese condominiali va ribadito quanto ha già affermato il Tribunale di Roma e cioè che l’assemblea condominiale ha approvato la detta ripartizione che la delibera assembleare non è stata impugnata.
La questione proposta con la censura è, quindi, inammissibile in questa sede.
Contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione, con tre motivi, Cesare Stiriti, Maria Orazia Messina, Ugo Igliozzi, Giuliana Petrucci e Annunziata Dell’Omo.
Resiste con controricorso Rossana De Angelis.
Motivi della decisione
Va preliminarmente esaminata la questione della ammissibilità del ricorso.
Il collegio non ignora che la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Suprema Corte esclude l’ammissibilità del ricorso per cassazione proposto ex art. 111 della Costituzione contro il decreto con il quale la corte di appello provveda in sede di reclamo avverso il decreto del tribunale ex art. 1129 c.c. in tema di revoca dell’amministratore di condominio (cfr. in tal senso, da ultimo, sentenze 4706/01, 6249/00, 1493/99, 4090/97).
A fondamento di tale orientamento viene dedotta la natura di provvedimento di volontaria giurisdizione del decreto in questione, non suscettibile di passare in cosa giudicata, potendo gli interessati nuovamente ricorrere al giudice per chiedere un altro provvedimento in senso difforme da quello precedente.
Costituisce eccezione a tale orientamento la sentenza 4620/96, alle cui conclusioni, invece, il collegio ritiene di dover aderire.
Va preliminarmente rilevato che ai fini della ricorribilità non costituisca ostacolo la natura (decreto e non sentenza) del provvedimento impugnato.
Occorre in proposito ricordare che per costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 della Costituzione il termine “sentenza” non va inteso nel significato proprio di provvedimento emesso nelle forme e nei casi di cui agli artt. 132 e 279 c.p.c., ma deve essere interpretato estensivamente, in guisa da comprendervi tutti i provvedimenti giurisdizionali, anche se legittimamente emessi sotto forma di ordinanza o di decreto, rispetto ai quali non sia previsto alcun altro rimedio, a condizione, però, che si tratti di provvedimenti decisori comunque incidenti su diritti soggettivi ed aventi piena attitudine a produrre, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale o processuale sul piano contenzioso, sì che la loro eventuale ingiustizia comporterebbe per la parte un pregiudizio definitivo ed irreparabile, se non fosse assicurato quel controllo di legittimità della Corte di cassazione sui provvedimenti decisori che l’art. 111 della Costituzione ha inteso garantire.
Sulla base di tali premesse ritiene il collegio che contro il provvedimento con il quale la corte di appello decide il reclamo avverso il decreto del tribunale che ha pronunciato la revoca dell’amministratore di condominio è ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 della Costituzione, in quanto tale provvedimento, emesso su istanza di alcuni soltanto tra i condomini, comporta la risoluzione anticipata e definitiva (contro la quale non è previsto alcun altro rimedio) del rapporto di mandato esistente fra tutti i condomini, da un lato, e l’amministratore, dall’altro, e cioè incide su diritti soggettivi.
In relazione alle ragioni addotte a sostegno del contrario orientamento dominante nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, va, in primo luogo, osservato che appare contraddittorio riconoscere il carattere decisorio di un provvedimento e negare contemporaneamente allo stesso la attitudine a passare in giudicato (cfr. sentenza 1861/64 e 1103/88).
In senso contrario favorevole alla idoneità del provvedimento di revoca dell’amministratore a passare in giudicato (in considerazione della sua irrevocabilità, contrariamente a quanto sostenuto dall’orientamento giurisprudenziale criticato) va osservato che secondo autorevole dottrina l’efficacia di un provvedimento e la sua revocabilità od irrevocabilità dipendono dal suo contenuto, dalla natura dell’attività per l’organo giurisdizionale ha svolto nel pronunciarlo, per cui se l’organo ha deciso una lite tra due parti, attuando il diritto a favore dell’uno e dell’altro, le ragioni politico-sociali che sono all’origine dell’istituto della cosa giudicata impongono di attribuire al provvedimento (qualunque sia il suo nome e la sua forma) un’efficacia che valga a porre un termine definitivo alla controversia.
Con riferimento specifico al provvedimento previsto dall’art. 64 disp. att. c.c., va ricordato che con esso il giudice non sospende l’amministratore, cioè non pone in uno stato di quiescenza temporaneo il rapporto tra condominio e amministratore, ma revoca quest’ultimo, cioè pone definitivamente termine ante tempus al rapporto in questione.
A prescindere, poi, dalla possibilità teorica che il giudice ripristini un rapporto contrattuale al quale in precedenza ha posto termine, la possibilità pratica per le parti di ricorrere nuovamente al giudice per ottenere un provvedimento di senso difforme da quello di revoca dell’amministratore in precedenza emesso è spesso da escludere.
A seguito della revoca, infatti, il condominio potrebbe (e nel caso di condominio con più di quattro partecipanti dovrebbe) avere nominato un nuovo amministratore, oppure tale amministratore potrebbe essere stato nominato dallo stesso giudice adito da uno dei condomini ex art. 1129, primo comma c.c.
Nella prima ipotesi alla revoca osterebbe il disposto dell’art. 742 c.p.c., il quale fa salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla revoca stessa.
Nella seconda ipotesi la revoca sarebbe inefficace, se non accompagnata anche dalla revoca della nomina del nuovo amministratore, in relazione alla quale mancherebbero, però, i presupposti di legge.
In difesa dell’orientamento prevalente si è ritenuto di poter opporre (sentenza 23 febbraio 1999, citata) che:
a) il provvedimento di revoca non ha attitudine a passare in cosa giudicata proprio per l’espressa previsione legale della sua modificabilità e revocabilità da parte dello stesso giudice che lo ha emesso;
b) non si vede come possa acquisire carattere definitivo un provvedimento che, pur comportando la risoluzione anticipata del rapporto di mandato esistente tra il condominio e l’amministratore, non veda presenti in giudizio tutti i condomini, ma soltanto alcuni di essi;
c) non è vero che l’amministratore revocato, e che ha visto porre fine illegittimamente ante tempus al suo rapporto con il condominio, rimarrebbe senza difesa, in quanto nulla osta a che, ove il provvedimento non venga revocato o disatteso dalla maggioranza dei condomini con la sua riconferma, egli possa, in un giudizio autonomo, da proporre nei confronti del condominio, che il mandato gli ha conferito, e non soltanto di taluni condomini, far valere le sue ragioni.
In ordine a quanto dedotto sub a), se si intende fare riferimento alla astratta revocabilità dei provvedimenti di volontaria giurisdizione ai sensi dell’art. 742 c.p.c (non essendo tale revocabilità prevista dall’art. 1129 c.c o dall’art. 64 disp. att. c.c.), va rilevato che in tal modo si dà per dimostrato proprio ciò che è da dimostrare, e cioè la revocabilità del provvedimento di cui si discute solo perché emesso secondo la procedura prevista dagli artt. 737 e seguenti c.p.c., mentre, invece, la questione va risolta in base alla natura sostanziale (e non solo formale) dello stesso.
La seconda argomentazione non tiene conto del disposto dell’art. 1726 c.c., il quale prevede che, nel caso di mandato collettivo, ove ricorra una giusta causa, la revoca può essere fatta anche da uno solo dei mandanti.
In ordine all’argomentazione secondo la quale una conferma della non definitività del provvedimento di revoca dell’amministratore sarebbe desumibile dal fatto che lo stesso potrebbe essere disatteso dalla maggioranza dei condomini, con la revoca della revoca o con la riconferma dell’amministratore, è facile osservare che in entrambi i casi non si verrebbe ad incidere sulla revoca giudiziale, ma si procederebbe ad una nuova nomina.
La affermazione, infine, secondo la quale l’amministratore potrebbe, in un giudizio autonomo, far valere le sue ragioni nei confronti del condominio è di difficile comprensione; non si vede, infatti, quali sarebbero tali ragioni, dal momento che la richiesta di revoca, sia pure ad iniziativa di un solo condomino, ma nell’ambito di una legittimazione espressamente prevista dalla legge, è stata ritenuta fondata da parte della autorità giudiziaria.
Una volta stabilita l’ammissibilità del ricorso, si può passare all’esame del merito dello stesso.
Con il primo motivo si deduce che il reclamo incidentale proposto da Rossana De Angelis era nullo, in quanto il relativo atto di impugnazione era stato notificato in unica copia al procuratore domiciliatario.
Il motivo è infondato, in base alla assorbente considerazione che, come affermato dalla Corte di appello di Roma, la nullità è stata sanata con effetto retroattivo dalla costituzione delle controparti, e contro l’esattezza di tale affermazione nessuna specifica censura viene svolta in questa sede.
Con il secondo motivo si denuncia la irregolare sostituzione del relatore originariamente nominato.
La doglianza è infondata, in quanto secondo la pacifica giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., da ultimo sentenza 1643/00) la eventuale inosservanza delle disposizioni in tema di sostituzione di carattere regolamentare interno che non incide sulla costituzione del giudice né implica violazione della precostituzione del giudice per legge, e come tale è improduttiva di conseguenze quanto alla validità della sentenza.
Con il terzo motivo i ricorrenti propongono tre censure.
Con la prima deducono che il provvedimento impugnato, pur avendo carattere decisorio, è stato sottoscritto dal solo presidente del collegio e non anche dal relatore.
La doglianza è infondata, in quanto il provvedimento in questione, pur avendo carattere decisorio, per le ragioni in precedenza illustrate, è stato correttamente emesso secondo lo schema (volontaria giurisdizione) per esso previsto.
Con la seconda censura si sostiene che la corte di appello non avrebbe tenuto conto di tutte le inadempienze addebitate all’amministratore.
La doglianza è inammissibile, in quanto, a parte la sua genericità, in sostanza viene denunciato un presunto vizio di motivazione, senza tenere conto dei limiti ai quali è soggetto il ricorso per cassazione ex art. 111 della Costituzione.
I ricorrenti, infine, si dolgono della condanna alle spese.
Anche tale doglianza è infondata, in quanto la corte di appello ha fatto applicazione del principio della soccombenza.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
In considerazione delle particolarità della controversia, ritiene il collegio di compensare le spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione.