Sulla responsabilità professionale del prestatore di opera intellettuale
L’attore richiede la condanna del geometra, libero professionista, cui aveva conferito l’incarico di verificare ed accertare, con relazione giurata, la regolarità urbanistica di un immobile di sua proprietà, dovendo procedere al suo conferimento in una costituenda società in nome collettivo, poiché, da verifiche successivamente effettuate, erano risultate difformità edilizie e di destinazione, per cui si era reso necessario richiedere all’amministrazione comunale una prima concessione in sanatoria ex art. 13 della L. 47/85, respinta, e, poi, una istanza di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, ex art. 12 della stessa normativa, al pagamento di una somma corrispondente alla sanzione irrogata dal Comune.
Il G.I. respinge la domanda di risarcimento danni rilevando che non sussisterebbe responsabilità professionale del convenuto geometra per i fatti addebitatigli (sanzione comminata dal Comune), perché i fatti che avrebbero portato alla irrogazione della sanzione amministrativa erano stati compiuti anni prima del conferimento di tale incarico al libero professionista.
Il danno, per essere risarcito, doveva e deve essere “prevedibile”, al momento i cui sorge l’obbligazione, a meno che l’inadempimento non sia doloso.
Il principio appare pacifico.
La responsabilità del professionista, per danni causati nell’esercizio della sua attività, postula la violazione dei doveri inerenti al suo svolgimento, fra i quali quello di diligenza.
In proposito, si ricorda che la “
sussistenza della negligenza sia valutata in relazione alla specifica diligenza richiesta al debitore qualificato dall’art. 1176 c.c.
” (Cass. civ., sez. III, 10.5.200, n. 5945); “
che le obbligazioni del professionista (forense) sono obbligazioni non di risultato, ma di mezzi, sicché l’adempimento non può essere desunto dal risultato cui mira il cliente, ma soltanto da specifica responsabilità professionale, con riguardo alla natura ed alla modalità dell’attività esercitata
” (Cass. civ., sez. II 25.3.1995, n. 3566); “
che la limitazione della responsabilità dei professionisti alle ipotesi di dolo o colpa grave ricorre soltanto quando, addebitata l’imperizia, la prestazione abbia richiesto la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà
” (Cass. civ., sez. II, 18.11.1996, n. 10068).
In materia di responsabilità professionale del geometra, si richiama, infine, la sentenza della S.C.C. n. 6812 del 13.7.1998:
“
l’ingegnere, architetto o geometra, nell’espletamento dell’attività professionale, sia questa configurabile come adempimento di una obbligazione di risultato, o di mezzi, è obbligato ad usare la diligenza del buon padre di famiglia, con la conseguenza che l’irrealizzabilità dell’opera per erroneità o inadeguatezza - anche per colpa lieve, in mancanza di problemi tecnici di particolare difficoltà - del progetto affidatogli, costituisce inadempimento dell’incarico e consente al committente di autotutelarsi, rifiutandogli il compenso.
”.
(Avv. Franco Ballati)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PISTOIA
SEZIONE DISTACCATA DI MONSUMMANO TERME
in persona del dott. Pierpaolo Grauso in funzione di giudice unico ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 3653 del Ruolo Generale per gli Affari Contenziosi per l’anno 1999, posta in deliberazione all’udienza del 3 luglio 2001, e vertente
TRA
R. L., in persona di R. S., suo procuratore generale per atto notaio S. di Montecatini Terme del 6 marzo 1998, rep. N. 29881, elettivamente domiciliato in Monsummano Terme, Via…., presso lo studio degli Avv.ti, che lo rappresentano e difendono in forza di delega in calce all’atto di citazione
attore
E
D.C., elettivamente domiciliato in…., presso lo studio dell’Avv., che lo rappresenta e difende in forza di delega in calce alla comparsa di costituzione e risposta
convenuto
Conclusioni
All’udienza del 3 luglio 2001, i procuratori delle parti precisavano le conclusioni come da verbale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 5 ottobre 1999, L.R. - in persona del suo procuratore generale S. R. - esponeva di aver acquistato per successione ereditaria la proprietà di un immobile sito in…., adibito a complesso alberghiero denominato “H.V.A.”; di aver sottoposto detto immobile a lavori di ristrutturazione ed ampliamento nel corso degli anni ’80, affidando al geom. C.D. l’incarico di provvedere alla redazione e presentazione delle necessarie istanze amministrative per il rilascio di concessioni ed autorizzazioni, nonché la direzione dei lavori; di aver ottenuto in data 14 agosto 1987, a seguito dell’ultimazione delle opere, il decreto di abitabilità dell’edificio; di aver quindi incaricato, nel 1992, il medesimo geometra D. di predisporre e presentare una perizia giurata, dovendo procedere al conferimento dell’immobile in una costituenda società in nome collettivo: in tale perizia, il D. aveva asserito ed affermato, fra l’altro, che lo stato di fatto dell’immobile era “conforme agli stati licenziati ad eccezione di lievi variazioni interne che non costituiscono elemento ostativo”.
Tanto premesso, il R. deduceva che, alla fine del 1997, aveva promesso in vendita la proprietà dello stabile in questione, ma che, dalle verifiche effettuate dai promittenti acquirenti, erano emerse difformità edilizie e di destinazione di alcun ambienti, in relazione alle quali era stato necessario presentare al Comune di….. una prima richiesta di concessione in sanatoria ex art. 13 l. 47/85, non accolta, ed una successiva istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 12 della stessa legge (rectius: istanza di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione), questa invece accolta con l’applicazione al R. della sanzione di lire 239.000.000, regolarmente versata. La non conformità dell’immobile agli strumenti urbanistici aveva inoltre impedito la stipula del contratto definitivo di compravendita nel termine stabilito, il che aveva reso necessario addivenire ad un accordo con i promittenti acquirenti, cui era stato scontato l’importo di lire 62.000.000 dal prezzo complessivo di acquisto.
Ritenendo che gli esborsi suindicati dovessero ascriversi alla negligente condotta professionale del D., il quale non aveva correttamente evidenziato le reali difformità dell’immobile realizzato negli anni ‘80 rispetto a quello licenziato, né aveva rilevato l’esistenza di tali difformità neppure al momento della redazione della perizia giurata del ’92, il R. conveniva in giudizio dinanzi a questo ufficio il predetto professionista, per sentirlo condannare al rimborso di tutte le somme versate e comunque perdute, a titolo di risarcimento danni.
Si costituiva il convenuto, il quale eccepiva preliminarmente la prescrizione del diritto al risarcimento per inesatto adempimento delle obbligazioni scaturenti a suo carico dall’attività prestata quale direttore dei lavori di rifacimento e ristrutturazione dell’albergo, e nel merito contestava integralmente la domanda, concludendo per il rigetto della stessa.
Esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione delle parti, ed assegnati i termini per il deposito di memorie ex art. 183 co. 5 c.p.c., nonché di memorie per l’indicazione dei mezzi di prova ex art. 184 c.p.c., la causa veniva istruita mediante la sola acquisizione di documenti (all’udienza del 24 gennaio 2001, su istanza della difesa di parte convenuta, il giudice revocava infatti l’ordinanza ammissiva delle prove orali articolate dall’attore), ed all’udienza del 3 luglio 2001, sulle conclusioni precisate dalle parti, il procedimento veniva trattenuto in decisione, con assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nelle conclusioni dell’atto di citazione, il Rinaldi ha chiesto il rimborso di tutte le spese sostenute in conseguenza della responsabilità professionale del convenuto D., per complessive lire 301.000.000, costituite dall’importo della sanzione pecuniaria irrogata all’attore dall’amministrazione comunale di …per le difformità urbanistiche dello stabile di Via…, e dal minor prezzo di vendita praticato dall’attore agli acquirenti dell’immobile, a seguito della ritardata stipula del contratto definitivo.
Con la memoria autorizzata ex art. 183 co. 5 c.p.c., depositata il 31 marzo 2001, l’attore ha quindi precisato la domanda, facendo presente come la richiesta di risarcimento si fondasse esclusivamente sulle asserzioni contenute nella perizia di stima del 21 dicembre 1992, nella quale il D. aveva dichiarato che lo stato di fatto dell’immobile era sostanzialmente conforme agli strumenti urbanistici, e non anche sugli inadempimenti collegati all’incarico di progettista e direttore dei lavori di rifacimento dell’edificio, essendo il relativo diritto prescritto per effetto dell’eccezione tempestivamente sollevata dal convenuto.
Infine, in sede di precisazione delle conclusioni di merito, la domanda è stata ulteriormente precisata, con riferimento alla condanna del convenuto - previo accertamento dell’inadempimento all’incarico espletato con la redazione della perizia giurata di stima del 21 dicembre 1992 - al pagamento quantomeno della somma di lire 239.000.000, corrispondente all’ammontare della sanzione pecuniaria irrogata al R..
Circoscritta in tal modo la pretesa, la verifica dei presupposti per il risarcimento del danno deve prendere le mosse dalla ricostruzione dell’evento lesivo denunciato dall’attore, il quale lamenta di aver confidato nella regolarità urbanistica del proprio immobile sulla base della relazione commissionata al D., e pertanto di non essersi tempestivamente attivato per accedere a sanatorie e condoni, fino a trovarsi assoggettato alla sanzione pecuniaria irrogata nei suoi confronti dall’amministrazione comunale, ai sensi dell’art. 12 co. 2 della legge 47/85. La fattispecie, così ricostruita, si configura non tanto come perdita diretta (intesa come danno emergente), ma piuttosto come perdita della possibilità di accedere ai benefici di legge (evitando la sanzione, e limitando l’esborso al pagamento dell’oblazione prevista per la sanatoria), posto che, se anche la relazione del geom. D. avesse evidenziato la presenza di difformità urbanistiche o edilizie, non può affermarsi con certezza che il Rinaldi avrebbe presentato la domanda di sanatoria degli abusi; da questo punto di vista, si osserva peraltro che, se anche gli abusi fossero attribuibili alla responsabilità dell’odierno convenuto nell’espletamento dell’incarico di progettista e direttore dei lavori di ristrutturazione eseguiti nel corso degli anni ’80, la richiesta di rimborso di quanto pagato per l’oblazione non potrebbe trovare titolo nella relazione di stima del 1992, ma direttamente nel primo incarico, del quale non si discute in questa sede (il che significa che, in ogni caso, la misura di un eventuale risarcimento dovrebbe essere ridotta dell’importo corrispondente all’ammontare dell’oblazione).
Detto questo, il R. risulta aver presentato al Comune di …, in data 28 aprile e 6 maggio 1998, due domande di sanatoria edilizia ai sensi dell’art. 13 l. 47 cit. (per ampliamento dell’edificio e cambio di destinazione d’uso del piano interrato), entrambe respinte con provvedimenti del giugno 1998 per carenza della c.d. doppia conformità, e cioè per il superamento degli indici volumetrici assentiti dal piano regolatore. E’ peraltro di tutta evidenza come le ragioni del diniego prescindano dal tempo di presentazione delle domande, attenendo unicamente al merito dei progetti presentati dal R., il che consente di escludere, almeno per questo aspetto, la sussistenza del rapporto di causalità tra il dedotto inadempimento ed il preteso danno: infatti, se anche la relazione di stima predisposta dal D. avesse evidenziato l’esistenza delle difformità, non per questo l’amministrazione avrebbe rilasciato le concessioni in sanatoria ex art. 13, il cui rifiuto è dipeso dalla ritenuta insanabilità delle opere ai sensi della normativa invocata dal R..
Parzialmente diverso è invece il discorso che attiene alla facoltà di accedere al vero e proprio “condono edilizio”, previsto dall’art. 39 della legge 724/94, con termine per la presentazione della istanza di sanatoria fino al 31 marzo 1995 (così sostituito il termine originariamente previsto, dal D.L. 41/95 convertito con modificazioni in legge 85/95).
Com’è noto, in forza dell’art. 1225 c.c. il risarcimento è limitato al danno che possa prevedersi all’atto in cui sorge l’obbligazione, salvo che l’inadempimento sia doloso, laddove è prevedibile il danno di cui è probabile l’accadimento, sulla base delle circostanze che il debitore conosceva o avrebbe dovuto conoscere facendo uso della normale diligenza; mentre il riferimento temporale, al di là del tenore letterale della disposizione richiamata, deve essere individuato non tanto nel momento della costituzione del rapporto, quanto nel tempo della sua esecuzione (o mancata esecuzione, in relazione all’attualità dell’obbligo rimasto inadempiuto).
Nel caso in esame, all’epoca in cui venne eseguito dal convenuto il mandato professionale avente ad oggetto la predisposizione della relazione di stima, contenente fra l’altro l’asseverazione della conformità edilizia ed urbanistica dello stabile, lo stato dell’edificio - essendo ormai stati realizzati gli abusi - era tale da rendere il proprietario potenzialmente passibile di quella sanzione che soltanto successivamente gli sarebbe stata inflitta: sanzione che pertanto deve essere causalmente ricollegata non alla redazione della relazione di stima, ma, semmai, alla pregressa attività di direzione dei lavori (come già detto, se anche le difformità fossero state evidenziate correttamente, non per questo il R. avrebbe potuto evitare la sanzione).
Non può invece ragionevolmente sostenersi che il D. avrebbe potuto (e dovuto) prevedere che, due anni più tardi, sarebbe stato reintrodotto dal legislatore l’istituto del condono, con la facoltà di ottenere la sanatoria delle opere abusive realizzate fino al 31 dicembre 1993, anche in deroga ai piani regolatori; e poiché il pregiudizio di cui l’attore si lamenta consiste proprio nella circostanza di non aver potuto beneficiare del condono, non può ritenersi che siffatto pregiudizio rientri tra quelli prevedibili al momento della consegna, da parte del D., della più volte richiamata relazione di stima. Infatti, il pagamento della sanzione non discende direttamente dalla mancata asseverazione dell’esistenza delle difformità, ma dalla mancata adesione al condono: in tale prospettiva, il non aver potuto evitare quel pagamento costituisce effettivamente la conseguenza della perdita di possibilità, oltre che il parametro cui commisurare la liquidazione del danno, conseguenza che non può essere però risarcita in ragione della sua stessa imprevedibilità.
Le medesime considerazioni valgono per il danno derivato dalla riduzione del prezzo, che il R. lamenta di aver dovuto concedere ai promittenti acquirenti dell’immobile.
Per effetto di tutto quanto precede, la domanda di risarcimento danni proposta dall’attore non può trovare accoglimento; sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la integrale compensazione delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Il Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da L. R. nei confronti di C. D., così provvede:
a) respinge la domanda;
b) dichiara compensate fra le parti le spese del procedimento.
Così deciso in Monsummano Terme, il 21 febbraio 2002
Il Giudice
dott. Pierpaolo Grauso