La perdita della qualifica di associato e della conseguente relazione con i beni dell'associazione non trova tutela possessoria
L’associazione non riconosciuta, anche se sfornita di personalità giuridica, è tuttavia considerata dall’ordinamento come soggetto di diritti distinto dagli associati, essendo dotata di una propria organizzazione interna ed esterna, di un proprio patrimonio costituito dal fondo comune e di una propria capacità sostanziale.
La responsabilità personale, e solidale con quella dell’associazione non riconosciuta, delle persone che hanno agito in nome e per conto della associazione medesima, si configura come una forma di fideiussione ex lege, disposta a tutela dei terzi che possono ignorare la consistenza economica del fondo comune e fare affidamento sulla solvibilità di colui che ha negoziato con loro.
Anche se l’art. 36 prevede che le associazioni non riconosciute siano regolamentate dagli accordi degli associati, tuttavia le stesse sono modellate necessariamente sulla esistenza, oltre che degli organi esecutivi e rappresentativi, anche di un organo deliberante, l’assemblea, formato da tutti gli associati, indipendentemente dal fatto che di tale organo si faccia riferimento nell’atto costitutivo: e ciò sulla base degli artt. 20 e 21 c.c.
Ora, poiché le norme che regolano le associazioni riconosciute e le società sono applicabili in via analogica anche alle associazioni non riconosciute, a queste deve ritenersi applicabile la disciplina delle impugnazioni delle delibere assembleari (v. Trib. Milano 7.11.1988, in Giur. Comm. 1991, II, 825), ed in particolare devono ritenersi applicabili le normative in materia di cause di annullabilità.
Giustamente, quindi, nella fattispecie in esame, il G.I. respinge la richiesta di reintegra nel possesso proposta da parte di persona che, immessa precedentemente nel possesso dei beni di pertinenza di una associazione, ne era stata in seguito “volutamente spogliata”, con relativa espulsione dalla associazione stessa, deliberata dalla assemblea.
Poiché gli associati esclusi non hanno alcun diritto sul patrimonio della associazione, la dedotta perdita della relazione materiale con i beni dell’associazione non può trovare tutela nell’ambito possessorio ex art. 1186 c.c., ma solo tramite impugnazione, nelle forme, modi e termini di legge, della delibera di esclusione da parte della assemblea.
(Franco Ballati)
IL GIUDICE
a scioglimento della riserva che precede;
letti gli atti e documenti di causa;
RILEVATO
- che la ricorrente I. espone di aver stipulato in data 10 febbraio 2000, con tale U.O., una “scrittura privata per promessa di acquisto”, in forza della quale l’O. prometteva di vendere e la I. - in qualità di presidente dell’associazione “M. C.2000” - prometteva di acquistare un complesso di diritti e di beni mobili posti a corredo dell’associazione con sede in...........con contestuale immissione della promettente acquirente nel possesso dei beni di cui al contratto, e segnatamente nel possesso dei locali in cui si svolgeva l’attività dell’associazione ceduta;
- che, ad avviso della ricorrente, la scrittura in questione non potrebbe che qualificarsi come contratto preliminare di cessione d’azienda, stante la giuridica impossibilità che un ente associativo possa costituire oggetto di cessione a qualsiasi titolo;
- che, ancora, la I. assume di essere stata dapprima spogliata violentemente e clandestinamente del possesso dei locali in questione, ad opera di certa M.P., la quale avrebbe provveduto a sostituire le serrature del portone di ingresso, per poi ricevere, alcuni giorni dopo la spoglio, una lettera di esclusione dall’associazione “M. C. 2000”;
- che la P. resiste, confermando di aver sottoscritto la lettera di esclusione della I. dall’associazione, ma contestando di aver provveduto alla sostituzione di serrature o alla apposizione di lucchetti alla porta di ingresso dei locali del circolo;
- che non è stata fornita alcuna dimostrazione che il preteso spoglio sia in qualche misura riconducibile, in veste di autrice materiale o morale, alla P., la quale - si osserva per inciso - è stata convenuta nel presente giudizio in proprio, e non in qualità di rappresentante dell’associazione “R.”, che attualmente detiene ed ha sede nei locali di cui è causa;
- che peraltro, a prescindere da tale rilievo e dalla prova della riconducibilità dello spoglio alla P., la esclusione della ricorrente dai locali dell’associazione, anche sotto il profilo temporale, risulta sostanzialmente correlata - come già rilevato nel provvedimento inaudita altera parte pronunciato il 27 luglio 2001 - alla espulsione della I. dal “M. C. 2000”, comunicata con lettera raccomandata del 19 maggio 2001 e deliberata dall’assemblea dell’associazione tenutasi il precedente 18 maggio, come da verbale prodotto dalla resistente;
- che, a seguito dell’istruttoria svolta, non può sostenersi - neppure in via di ipotesi - che lo spoglio sia attribuibile ad una illegittima iniziativa unilaterale della P., essendo emerso con ogni evidenza come l’esclusione discenda dalla deliberazione dell’ente associativo;
- che, ai sensi dell’art. 24 co. 4 c.c., gli associati esclusi non hanno alcun diritto sul patrimonio dell’associazione, all’interno del quale debbono farsi senz’altro rientrare anche il possesso e la detenzione di beni, materiali ed immateriali (da intendersi come situazione di compossesso o codetenzione dei vari associati), e che tale principio è senz’altro estendibile, secondo la migliore dottrina, alle associazioni non riconosciute;
- che, conseguentemente, la perdita della relazione materiale con i beni dell’associazione costituisce allo stato una conseguenza legale del venir meno, in capo alla I., della qualifica di associata, ed appare pertanto suscettibile di tutela non in ambito possessorio, ma nella diversa sede della impugnazione della delibera di esclusione;
- che, per le ragioni esposte, la proposta domanda interdittale non può trovare accoglimento;
P.Q.M.
visti gli artt. 1168 c.c., 703, 669-bis c.p.c.;
respinge il ricorso, per l’effetto revocando il provvedimento provvisorio emesso inaudita altera parte in data 27 luglio 2001;
dichiara chiusa la fase sommaria del procedimento;
rinvia la causa per la trattazione ex art. 183 c.p.c. all’udienza del 30 gennaio 2002, ore 9.30, concedendo alla parte convenuta termine fino a venti giorni prima dell’udienza così fissata per la proposizione delle eccezioni non rilevabili d’ufficio.
Si comunichi.
Monsummano Terme, 5 ottobre 2001
Il Giudice
dott. Pierpaolo Grauso