Applicabilità della nuova normativa sui c.d. "contratti del consumatore" anche ai contratti stipulati anteriormente alla entrata in vigore di tale legge
Con l’entrata in vigore della legge 6 febbraio 1996, n. 52, art. 25, in attuazione della Direttiva 93/13 CEE del 5.4.1993, concernente le clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori, si è introdotta una forma di controllo giuridico e sostanziale sulle clausole cosiddette “vessatorie”, così come previsto dagli artt. 1469 bis, ter e quinquies.
Vengono considerate clausole “vessatorie” (art. 1469 bis, I co.) quelle che “malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” (clausola generale).
Si presumono invece vessatorie quelle previste al comma 3 dello stesso articolo; la presunzione può essere vinta solo con la prova che l’inserimento delle clausole ivi previste è stato il frutto di una trattativa individuale intercorsa fra le parti, oppure fornendo la prova che la clausola che la legge indica, in via presuntiva, come “vessatoria”, non determina, concretamente, alcun evidente squilibrio dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto stesso, stante la presenza di altri vantaggi a favore del consumatore contraente.
Ora si è altresì precisato che, ai fini della qualificazione di una clausola come “vessatoria”, deve considerarsi lo “squilibrio «normativo», inteso come assetto negoziale dei diritti e degli obblighi delle parti sbilanciato in senso favorevole ad una di esse (il professionista) e non, invece, lo squilibrio «economico», inteso come sproporzione iniqua fra i valori di mercato delle prestazioni dovute dalle parti” (vedi Denova, “Le clausole vessatorie”).
Inoltre, qualora il contratto sia stato concluso dalle parti a mezzo di formulari o moduli predisposti dal professionista, spetterà a questi dimostrare che la clausola in questione è stata oggetto di trattativa individuale.
E’ stato diversamente risolto il problema se la normativa sia applicabile ai rapporti sorti in epoca anteriore alla entrata in vigore della suddetta normativa; il G.I., nella sentenza che si commenta, ritiene, in conformità alla giurisprudenza prevalente (Cass. 28.8.2001, n. 11282), che la legge 52/1996, per quanto concerne la disposizione sulla competenza territoriale nelle controversie fra consumatori e professionisti, avendo natura processuale, debba ritenersi applicabile “ai giudizi sorti dopo la sua entrata in vigore, anche se concernenti rapporti sorti precedentemente”.
Ciò perché, in ogni caso, “gran parte delle norme processuali che determina la competenza territoriale è ispirata alla esigenza di tutela di questa o quella posizione processuale, ritenuta meritevole di maggiori garanzie”.
Poiché “la legge, giusta la regola generale posta dall’art. 11 preleggi c.c. non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, ne consegue che lo ius superveniens, costituito dalla detta normativa, svolge i propri effetti solo in relazione ai contratti successivi alla data di entrata in vigore, mentre, per quanto concerne i precedenti, solo in relazione alla regolamentazione degli effetti ancora in corso” (Cass. n. 13339/1999; cfr. anche Cass., sez. III, 18.5.2001, n.6819).
Rientra, è pacifico, fra le clausole da presumere “vessatorie” fino a prova contraria quella che stabilisce come sede del Foro competente sulle controversie località diverse da quelle di residenza o domicilio elettivo del consumatore: “essa, essendo ricompresa nell’ambito di una normativa ispirata alla salvaguardia dei diritti del consumatore nei contratti conclusi con il professionista, istituisce un criterio legale in ordine alla determinazione della competenza territoriale finalizzata a riverberare i suoi effetti sul piano della tutela sostanziale … (configurandosi) il foro di residenza o di domicilio elettivo del consumatore come una garanzia di riequilibrio delle rispettive posizioni delle parti contraenti” (Cass. civ., sez. II, 22.11.2000, n. 15101).
In conclusione, è opportuno evidenziare una recentissima sentenza della Cassazione, sez. III civile, del 03.10.2003, n 14762 (in www.altalex.com), in materia di clausola di recesso.
Si è statuito, infatti, che questa non deve essere inserita in un contesto uniforme di clausole di apparente pari rilevanza, dovendo, a tutela del consumatore e del diritto fondamentale di recesso, “restare separata dalle altre clausole, per rendere chiara, trasparente ed immediata la informazione” e deve avere, inoltre, “caratteri grafici eguali o superiori a quelli degli altri elementi indicati nel documento”.
Avv. Franco Ballati
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PISTOIA
SEZIONE DISTACCATA DI PESCIA
in persona del dott. Pierpaolo Grauso in funzione di giudice unico ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 5171 del Ruolo Generale per gli Affari Contenziosi dell’anno 1997, posta in deliberazione all’udienza dell’11 maggio 2001, e vertente
TRA
D. G., elettivamente domiciliato in ...., presso lo studio dell’Avv...., che lo rappresenta e difende in forza di
attore
E
A. E. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in..., presso lo studio deAvv..., che lo rappresenta e difende unitamente all’Avv. .., giusta procura alle liti per atto Notaio...
convenuta
Conclusioni
All’udienza dell’11 maggio 2001, i procuratori delle parti precisavano le proprie conclusioni come da verbale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato a mezzo del servizio postale il 12 maggio 1997, G. D. esponeva di essere stato titolare di una carta di credito emessa dalla società A. E., e di essersene servito - il 22 agosto del 1995 - in occasione del noleggio di un’autovettura presso la I. Car S.p.A., agenzia di Pisa, con la quale aveva convenuto il pagamento del noleggio tramite addebito su detta carta di credito; di aver utilizzato la vettura noleggiata per recarsi in Polonia, e di essere stato quindi costretto ad un improvviso ed urgente rientro in Italia in aereo, previo accordo con un amico, affinché questi provvedesse a riportare la vettura in Italia.
Ancora, l’attore esponeva che la società locatrice, nell’ingiustificato timore di una mancata restituzione, si era adoperata per il recupero della vettura direttamente in Polonia, e questo dopo soli quattro giorni dall’inizio del noleggio, per poi chiedere alla A.E. il pagamento dell’importo di lire 9.491.632, a titolo di canoni di noleggio e spese di recupero; ritenendo non dovuto il pagamento di quanto eccedente il canone di noleggio (pari a lire 1.200.000), il G.D. aveva diffidato l’istituto emittente della carta dall’eseguirlo, ma senza esito, e si era quindi visto addebitare e richiedere dalla Amex la somma indicata, corrisposta alla I. Car.
Tanto premesso, il G.D. deduceva di aver provveduto al rimborso del canone di nolo, ma sosteneva di non essere obbligato per pagamenti indebitamente effettuati alla I. Car, e pertanto agiva in giudizio nei confronti della A.E., dinanzi al Pretore di Pistoia, sezione distaccata di Pescia, per sentir dichiarare l’inesistenza del credito vantato nei suoi confronti dalla menzionata società emittente.
Si costituiva la convenuta, la quale eccepiva preliminarmente l’incompetenza per territorio del giudice adito, in forza dell’art. 19 del Regolamento Generale della Carta A.E., e, nel merito, la propria carenza di legittimazione passiva; concludeva quindi in via principale per l’accoglimento dell’eccezione di incompetenza, ed in subordine per la condanna dell’attore al pagamento dell’importo di lire 8.351.032.
La causa, istruita mediante la sola produzione di documenti, veniva una prima volta trattenuta in decisione dal Pretore all’udienza del 17 luglio 1998, quindi, rimessa sul ruolo, a seguito di rinvii di ufficio e della cessazione dall’incarico del magistrato onorario titolare del procedimento, veniva nuovamente trattenuta in decisione dal tribunale in composizione monocratica (essendo nelle more del giudizio entrato in vigore il noto D.Lgs. 51/98, recante la soppressione dell’ufficio del Pretore) in persona dello scrivente magistrato, all’udienza dell’11 maggio 2001, previo invito alle parti a nuovamente precisare le conclusioni, e con assegnazione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla difesa di parte convenuta è infondata.
Le condizioni generali previste dal Regolamento della carta di credito A. E. effettivamente prevedono, all’art. 19, la competenza esclusiva del foro di Roma, ma tale clausola, con tutta evidenza, è da presumersi vessatoria ai sensi dell’art. 1469-bis, co. 3, n. 19), introdotto dalla legge 6 febbraio 1996, n. 52 sui c.d. “contratti del consumatore”, che la più recente giurisprudenza di legittimità ritiene applicabile - in considerazione della sua natura di norma processuale, e non sostanziale - anche ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore, ma concernenti rapporti sorti precedentemente, come affermato da Cass. 28 agosto 2001, n. 11282.
Non può peraltro sottacersi come la riportata affermazione circa la natura della disposizione sia diametralmente opposta rispetto a quella contenuta nella di poco precedente Cass. 22 novembre 2000, n. 15101, la quale propende invece per il carattere sostanziale e non processuale della norma, ma la contraddizione è più apparente che reale, ove si consideri che tale ultima pronuncia fa riferimento ai giudizi instaurati anteriormente alla entrata in vigore delle legge (ed in questa evenienza, sia detto per inciso, l’esclusione sembrerebbe comunque dover discendere dal principio posto dall’art. 5 c.p.c.).
A questo si aggiunga che la questione circa l’applicabilità dell’intero corpo di norme introdotto dalla novella del 1996 (non limitatamente alla disciplina della competenza) ai contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore è stata risolta dalla prevalente giurisprudenza di merito nel senso che - fermo restando il principio della sua irretroattività - la nuova disciplina possa applicarsi agli effetti non ancora esauriti dei rapporti sorti anteriormente (fra le pronunce edite, cfr. Trib. Roma, 5 ottobre 2000; Trib. Palermo, 7 aprile 1998), e l’impostazione sembra essere stata recepita dalla stessa Corte di legittimità, la quale, sempre sul presupposto della non retroattività, ha espressamente sostenuto che lo ius superveniens in esame trova applicazione, relativamente ai contratti stipulati anteriormente, per la regolamentazione degli effetti ancora in corso (cfr. Cass. 18 maggio 2001, n. 6819). Nella specie, la produzione degli effetti della clausola derogativa della competenza non può che farsi risalire al momento della instaurazione della controversia dinanzi ad un foro diverso da quello indicato come esclusivo, il che giustifica l’applicazione della normativa invocata dall’attore.
La fondatezza di una siffatta ricostruzione “dicotomica” della disciplina dei contratti anteriori alla legge 52 del 1996 trova del resto un importante conferma nella sentenza 27 giugno 1997, n. 204, con cui la Corte Costituzionale, affrontando la questione di legittimità del nuovo testo dell’art. 1938 c.c. in tema di fideiussione per obbligazioni future, introdotto dalla legge 154 del 1992, ha affermato come quell’innovazione legislativa non abbia toccato le garanzie per le obbligazioni principali già sorte anteriormente alla legge di modifica, ma abbia semplicemente escluso la produzione di ulteriori effetti con riferimento alle obbligazioni principali sorte successivamente.
Le considerazioni esposte conducono pertanto al risultato della inefficacia dell’art. 19 delle condizioni generali del contratto inter partes, rispetto al quale la difesa della A.E. non ha neppure allegato che sia stato oggetto di trattativa individuale.
Nel merito, la domanda proposta dal G.D. è infondata.
Secondo la preferibile, e prevalente, opinione dottrinale, il meccanismo della carta di credito - c.d. “trilaterale”, in quanto vede la presenza di un soggetto il quale esercita professionalmente l’attività di emissione della carta, in funzione intermediatrice fra l’esercente ed il consumatore - si atteggia come una delegazione passiva di pagamento allo scoperto (perché di regola non esiste rapporto di provvista tra delegante e delegato), imperniata sull’ordine di pagamento impartito dal titolare della carta all’emittente, con la particolarità che l’ordine di pagamento del delegante (consumatore) viene trasmesso al delegato (emittente) dal delegatario (esercente), il quale ha altresì l’onere di verificare la legittimazione all’ordine del portatore della carta, confrontando la firma apposta all’ordine e quella apposta sulla carta stessa.
Nella delegazione, come stabilito dall’art. 1271 c.c., il delegato (nella specie, A.E.) può opporre al delegatario (I. Car) le eccezioni relative al suo rapporto con costui, ma non anche le eccezioni che avrebbe potuto opporre al delegante (G.D.), se non diversamente pattuito, né quelle relative al rapporto tra delegante e delegatario, in mancanza di espresso riferimento a tale rapporto; ne consegue che il delegato non può rifiutare il pagamento eccependo la inesistenza dell’obbligazione del delegante verso il delegatario, ed in tale evenienza sarà il delegante a dover agire nei confronti del delegatario per la ripetizione dell’indebito.
Ne discende pertanto che la A.E. non avrebbe potuto opporre al delegatario I. Car la inesistenza dell’obbligazione del delegante G.D., e che quest’ultimo è tenuto al rimborso di quanto per suo conto pagato dalla Amex, salva la ripetibilità degli importi eventualmente non dovuti dal Di Stefano nei confronti della I. Car: in questo senso, l’art. 8 del Regolamento della carta è ripetitivo dei principi generali in materia, e non può ritenersi vessatorio o abusivo, ai sensi dell’art. 1469-ter co. 3 c.c..
La domanda principale proposta dall’attore non può pertanto trovare accoglimento.
Del pari non può essere accolta la domanda (da qualificarsi come riconvenzionale) spiegata dalla società convenuta in via subordinata nelle conclusioni di cui alla comparsa di costituzione e risposta, essendosi la Amex costituita in giudizio alla prima udienza, e dunque al di fuori dei termini previsti dall’art. 167 co. 2 c.p.c., con conseguente decadenza dalla riconvenzionale, rilevabile d’ufficio.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Pescia, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da G. D. nei confronti della A.E. S.p.A., così provvede:
a)respinge la domanda principale proposta dall’attore;
b)dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale spiegata dalla società convenuta;
c)dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Pistoia – Pescia, il 11 maggio 2001
Il Giudice
dott. Pierpaolo Grauso